Gli americani stanno per eleggere un nuovo presidente. Si rischia quindi uno sconvolgimento politico?Una conversazione su Joe Biden, Donald Trump e i pericoli di una società polarizzata negli Stati Uniti.
Da quando è entrato in carica nel 2021, l’attuale Presidente degli Stati Uniti Joe Biden si è fatto conoscere per la sua retorica riservata e il suo autorevole contegno, che tuttavia non gli hanno permesso di costruire ponti tra gli schieramenti politici e quindi disinnescare la polarizzazione deliberatamente alimentata dall’ex presidente Donald Trump. La nazione sembra divisa da estremi inconciliabili.
Anzi di più: a prescindere da quale dei due candidati si aggiudicherà la vittoria, dopo le elezioni presidenziali di novembre negli Stati Uniti si rischiano violente rivolte, come spiega Norbert F. Tofall, Senior Research Analyst del Flossbach von Storch Research Institute. Ecco un excursus sulla situazione negli Stati Uniti.
Signor Tofall, la tattica del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden di riprendere e rielaborare i precedenti temi caldi di Donald Trump (protezionismo, Afghanistan, protezione delle frontiere per respingere i migranti, ecc.) ha funzionato?
No, durante il suo mandato Biden non si è nemmeno avvicinato all’obiettivo di ridurre la polarizzazione politica e sociale negli Stati Uniti. Dal canto suo Trump, malgrado la sconfitta elettorale nel novembre 2020, nonostante l’assalto al Campidoglio nel gennaio 2021 e nonostante le numerose accuse penali, non ha ancora perso il fascino politico. Anzi, oggi sembra avere più controllo che mai sul partito repubblicano.
Cosa significa tutto questo per la stabilità politica ed economica del paese?
Il fatto che Trump abbia costantemente ripetuto che la vittoria alle elezioni del 2020 gli sarebbe stata rubata non solo ha alimentato ulteriormente la polarizzazione, ma ha anche indebolito la fiducia di molti americani nella stabilità delle istituzioni politiche nazionali. E prima o poi la fiducia nel governo tende sempre a ripercuotersi anche sull’economia. Inoltre, le “linee di battaglia culturali” degli Stati Uniti, caratterizzate da politiche identitarie di destra e di sinistra, hanno un impatto sulla politica economica.
In che senso?
Impediscono la formulazione di un programma economico e politico che possa ottenere un sostegno sufficiente al di là degli schieramenti di partito – e che sia adatto a porre fine alla procrastinazione dei problemi politici ed economici e all’ostruzionismo politico.
Fiducia compromessa, scontri culturali, blocchi: non c’è modo di uscire da questo pantano?
È un circolo vizioso. Poiché le strutture politiche istituzionali degli Stati Uniti non sono concepite per orientamenti decisionali unilaterali, ma al contrario sono pensate proprio per prevenire questi meccanismi attraverso controlli ed equilibri, chiamati in gergo “check e balance”, la polarizzazione nel paese porta regolarmente a un’impasse politica e alla procrastinazione dei problemi. Queste dinamiche, a loro volta, non fanno che alimentare la polarizzazione politica e sociale.
Visto che Trump non ha potuto essere escluso dalle primarie grazie a una sentenza della Corte Suprema, si contenderà di nuovo la presidenza con Joe Biden a novembre. Quale risultato elettorale è più “pericoloso” per gli Stati Uniti in questa situazione controversa?
Entrambi gli scenari comportano dei rischi. Se Biden dovesse vincere di nuovo, c’è da temere che un Donald Trump sconfitto e i suoi sostenitori denuncino ancora brogli elettorali, con un conseguente nuovo assalto al Campidoglio o altre forme di insurrezione simili a una guerra civile. Ma anche se Donald Trump dovesse vincere le elezioni, soprattutto se con una maggioranza risicata, non si possono escludere reazioni analoghe da parte dei suoi avversari.
Ma una vittoria di Trump comporterebbe anche un altro rischio, non è vero?
Sì, il rischio di un sistematico indebolimento dell’insieme di meccanismi “check and balance”, cioè una ristrutturazione dell’ordine costituzionale statunitense, con la giustificazione della teoria del complotto secondo cui lo “Stato profondo” avrebbe già ostacolato in modo massiccio le politiche di Donald Trump nel suo primo mandato e gli avrebbe addirittura rubato la vittoria nel novembre 2020. Joe Biden e i suoi sostenitori hanno quindi lanciato un campanello d’allarme: Trump sta deliberatamente minando la democrazia e favorendo l’ascesa di un governo fascista nel paese.
Trump può essere definito un fascista?
Non è certo un fascista ideologico come Mussolini o Hitler. Per capire che il suo abissale egocentrismo e la sua preferenza per gli ordini e le direttive – che vanno di pari passo con un’enorme spregiudicatezza e crudezza demagogica – danneggiano le istituzioni democratiche e potrebbero in ultima analisi tradursi in un governo fascista, serve un approccio diverso.
In che senso?
Io definirei Trump il Clodio Pulcro degli Stati Uniti. Publio Clodio Pulcro (92 a.C. - 52 a.C.) fu un uomo politico nella fase di decadenza della Repubblica romana. In realtà proveniva da una famiglia nobile, ma si fece “adottare” dai popolani per poter diventare un funzionario pubblico eletto dal popolo. Nell’attuare le sue politiche, usò la violenza e le lotte di piazza per destabilizzare l’ordine pubblico e distruggere le istituzioni; ma i cittadini lo amavano e lo veneravano perché combatteva contro le élite costituite, che a loro avviso si arricchivano senza ritegno, sfruttando la comunità romana e non rispettando i costumi e le regole della tradizione.
Ma anche Clodio proveniva dall’establishment!
Esatto. Solo che lui si arricchiva in modo addirittura più sfrenato dei suoi pari e lo ammetteva pure apertamente senza vergognarsi. La chiave del suo successo fu proprio l’aver elevato a principio questa sua sfrontatezza e il suo disprezzo per le regole e le usanze tradizionali.
Clodio Pulcro e Donald Trump: due star dell’intrattenimento populista...
Ciò che li rende così pericolosi è il fatto che, per presunte buone ragioni e violando e ignorando deliberatamente la morale, la decenza, i costumi tradizionali e le regole che dovrebbero garantire la prosperità per tutti, hanno messo in moto processi di de-civilizzazione nella popolazione. La gente non crede più che la moralità e la decenza, gli usi e i costumi tradizionali garantiscano la prosperità per tutti. Le élite dell’economia, dei media, della politica e del mondo accademico stanno perdendo fiducia perché spesso hanno partecipato all’attuazione di interessi particolari a spese di altri, ma non ammettono questo fallimento. Fanno persino finta di rispettare le norme e i sistemi di regolamentazione vigenti. Le rivalità prima mimetizzate vengono così spogliate della loro veste civile e messe a nudo. Ora manca solo la goccia che faccia traboccare il vaso e diffonda a macchia d’olio rabbia e malcontento tanto da scuotere l’ordine e i sistemi di regolamentazione esistenti.
Quale può essere nella pratica questa scintilla?
Un’intensificazione della polemica amico-nemico crea un bersaglio verso cui indirizzare l’aggressività che scaturisce da singoli individui e masse anonime. Se si raggiunge questo livello, è sufficiente incitare le persone perché ribaltino lo status quo degli ordini e dei sistemi.
Quindi la polarizzazione come “arma” o l’agitazione come modus operandi?
Esatto. La polarizzazione politica e sociale che ne deriva non viene deliberatamente minimizzata, ma massimizzata e diffusa a tutti i settori. Per innescare questo processo, basta che qualcuno scagli la prima pietra. Qualcuno a cui non importa di non essere senza peccato e che sa benissimo che la sua esibizione pubblica e la sua stessa malvagità e sfacciataggine gli faranno guadagnare l’applauso delle masse inferocite, assetate di trovare qualcuno che confermi i loro dubbi che “ai piani alti” sono tutti infami, come hanno sempre sospettato.
E chi altro potrebbe farlo in modo tanto credibile, se non Donald Trump?
Grazie alla sua pluriennale esperienza come imprenditore mediatico e popolare star dello spettacolo, Trump sapeva esattamente come agire per mettere in moto un simile processo sociale già nel 2015/2016. Per anni aveva recitato questa parte in modo giocoso nei suoi programmi televisivi. Basti pensare a quando ha detto che avrebbe potuto persino sparare per strada a qualcuno senza perdere popolarità: un’affermazione su cui riflettere.
Nel suo ultimo saggio, lei descrive l’ennesimo pericolo rappresentato da Trump...
Sì, le questioni sono due. Da un lato, mentendo costantemente sul fatto che lo “Stato profondo” gli avrebbe rubato la vittoria elettorale, Trump sta compromettendo di propositola funzione di pacificazione sociale delle votazioni democratiche. Al contempo, definisce traditori coloro che non appoggiano questa sua menzogna o vi si oppongono apertamente. E i traditori sono perseguitati e ostracizzati da lui e dai suoi seguaci. Li hanno ribattezzati i nemici del “MAGA” cioè del motto “MAKE AMERICA GREAT AGAIN”.
Se venisse rieletto, cosa comporterebbe questa immagine dei “nemici”?
Dalla sua prospettiva, anche i “pesi e contrappesi” della Costituzione statunitense, che hanno lo scopo di limitare le opzioni politiche di un presidente eletto, verrebbero denunciati come escamotage di uno “Stato profondo” che si oppone al MAGA. Se questa volta si vuole portare davvero a compimento il MAGA, lo “Stato profondo” deve essere distrutto. È per questo che Donald Trump ha già annunciato che, se vincerà le elezioni a novembre, sostituirà tutti coloro che lo hanno ostacolato in ambito giudiziario e politico. Ed è improbabile che realizzi il suo intento senza mettere a repentaglio l’indipendenza dei tribunali e senza minare il principio “check and balance”.
Per quanto Donald Trump sia il beneficiario di questa polarizzazione, non lo si può incolpare di averla causata, giusto?
È vero. Senza la polarizzazione tra politica identitaria di destra e di sinistra, che negli Stati Uniti si sta intensificando da ormai due decenni e mezzo, un personaggio come Donald Trump non avrebbe avuto la minima possibilità di diventare Presidente degli Stati Uniti d’America nel 2016. E dopo la sua sconfitta elettorale nel novembre 2020, dopo l’assalto al Campidoglio nel gennaio 2021 e, soprattutto, alla luce dei numerosi procedimenti penali che lo vedono coinvolto, non sarebbe riuscito ad avere il massimo controllo del partito Repubblicano nel 2024.
Supponiamo che Trump vinca le elezioni. Con che velocità potrebbe iniziare a realizzare i suoi piani?
Molto rapidamente! A differenza del 2016, c’è già un “governo in attesa” in termini di staff e programma, che potrebbe iniziare a lavorare subito dopo essersi insediato.
Quindi niente lo fermerebbe?
Per qualsiasi legge avrebbe comunque bisogno dell’approvazione della Camera dei Rappresentanti e del Senato, cosa probabile solo se i Repubblicani otterranno la maggioranza in entrambe le camere del Congresso alle elezioni di novembre. In caso contrario, dovrà sempre scendere a compromessi trasversali. Tuttavia, a causa della guerra culturale che lui stesso ha provocato, i compromessi su molte questioni sono alquanto improbabili, il che provocherà ulteriori blocchi politici e procrastinazioni.
Così si ritorna al circolo vizioso...
In quel caso Trump potrebbe essere sempre più tentato di governare attraverso ordini esecutivi e di esplorarne ed espanderne i limiti, lasciando ai tribunali un ruolo decisivo. È in quest’ottica che le sue dichiarazioni di voler essere dittatore, ma solo per un giorno, assumono un significato particolare. Trump ha annunciato di voler distruggere il cosiddetto Stato profondo. Ma per farlo dovrà molto probabilmente violare il principio “check and balance”. Ciò significa che un programma di governo, per quanto completo e già formulato, potrebbe essere ostacolato dai meccanismi di controllo e bilanciamento reciproco, ma è proprio questo che fomenta la voglia di Trump di sovvertirli.
Biden ha 81 anni. Trump 77. Entrambi hanno già avuto incidenti in pubblico dovuti all’età, Biden più spesso di Trump. Chissà che non vengano esclusi entrambi dalla campagna elettorale prima di novembre per motivi di salute: con tutto il rispetto, sarebbe forse un barlume di speranza?
Una nazione come gli Stati Uniti, con oltre 330 milioni di abitanti, non sembra al momento in grado di mandare in gara candidati più giovani. Ancora una volta il motivo è da ritrovarsi probabilmente nella polarizzazione della società e nella guerra culturale sempre più feroce. Ad ogni modo, nemmeno candidati più giovani sarebbero una garanzia di superamento della polarizzazione.
Perché?
Finora nessun politico statunitense ha presentato un programma per superare la polarizzazione. I danni alla democrazia e il pericolo di una nuova forma di fascismo non sono il risultato delle azioni autoindulgenti di Donald Trump, ma del fatto che negli Stati Uniti non è ancora emerso un movimento politico efficace che possa superare la polarizzazione.
Informazioni sull’autore:
Dal 2014 Norbert F. Tofall è Senior Research Analyst presso il Flossbach von Storch Institute nel campo dell’analisi macroeconomica con specializzazione in “Economia, politica e filosofia”.
Dal 2008 al 2013 è stato assistente alla ricerca di Frank Schäffler, membro del Bundestag. Dal 2004 al 2011 è stato docente di “Diritto e libertà in Europa” presso l’Università europea Viadrina di Francoforte/Oder nel programma di studio “Master in International Management”.
È membro del gruppo di esperti del governo tedesco per le missioni internazionali di pace e ha partecipato a diverse osservazioni elettorali dell’OSCE come osservatore elettorale internazionale. Ha studiato economia aziendale e filosofia presso le università di Paderborn e Tubinga.
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