Le speranze di un calo dei tassi d’inflazione persistono e così la banca centrale più importante del mondo, la Fed statunitense, sta facendo quel che può: naviga a vista.
Come previsto, la Federal Reserve (Fed) statunitense non taglierà i tassi d’interesse e lascerà invariato il tasso di riferimento tra il 5,25 e il 5,5%. All’inizio dell’anno nessuno avrebbe immaginato di dover aspettare fino all’estate o forse anche oltre per assistere al primo taglio dei tassi d’interesse. Anzi, a inizio gennaio gli operatori ipotizzavano per quest’anno ben sei interventi di riduzione dei tassi. Dodici settimane dopo, a fine marzo, le stime si erano già ridotte a tre tagli e ora il mercato sconta al massimo un intervento sui tassi d’interesse per il 2024.
Da dove nascono i dubbi su un’imminente inversione di tendenza dei tassi d’interesse? La ragione è palese: fino a poco tempo fa, l’inflazione negli Stati Uniti era ancora ostinatamente al di sopra del target del 2%. A marzo, l’inflazione statunitense misurata dall’indice dei prezzi al consumo (CPI) si è attestata al 3,5% e anche l’indice delle spese per consumi personali (Personal Consumption Expenditures, PCE) – che considera un paniere di beni più ampio rispetto al CPI ed è il metro di misura preferito dalla Fed – ha toccato il 2,7% infrangendo quindi la speranza di un raggiungimento duraturo del target d’inflazione.
I tassi d’inflazione storici non hanno un potere predittivo diretto sull’andamento futuro dell’inflazione. Pertanto, ci si chiede quali siano i fattori in grado di determinare un cambiamento duraturo nelle recenti dinamiche inflazionistiche. La Fed non ha per niente fretta di apportare un primo taglio ai tassi. Al momento, infatti, né la dinamica economica degli Stati Uniti né l’inflazione salariale offrono indicazioni evidenti di un imminente rallentamento della domanda complessiva e di un conseguente effetto di contenimento significativo sull’inflazione.
Il mercato del lavoro statunitense rimane solido
Il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente stimato per gli Stati Uniti un’espansione economica del 2,7% nel 2024, dopo una crescita reale del 2,5% nell’anno precedente. Anche l’inflazione salariale rimane a livelli storicamente elevati. Basta dare un’occhiata all’“Atlanta Fed Wage Growth Tracker” – che analizza l’andamento delle retribuzioni orarie mediane – per capire che i salari sono ulteriormente aumentati del 4,7% su base annua nel primo trimestre del 2024. Con un tasso di disoccupazione di appena il 3,8%, il mercato del lavoro continua quindi a godere di ottima salute.
La crescita negli Stati Uniti proseguirà senza sosta o ci stiamo forse dirigendo verso la stagflazione? E ci sarà effettivamente (solo) un taglio ai tassi d’interesse quest’anno?
A onor del vero, non sappiamo come andranno le cose. Ed è chiaro che il mercato non ha la sfera di cristallo. All’inizio del 2023 c’era un ampio consenso sul fatto che gli Stati Uniti fossero sull’orlo di una recessione a causa dei massicci aumenti dei tassi d’interesse. Ad oggi, la recessione più attesa degli ultimi decenni non si è ancora manifestata. Un po’ come nell’opera teatrale “Aspettando Godot”.
Si attenuano le aspettative di riduzione dei tassi d’interesse
Anche la questione delle tempistiche e del numero di possibili tagli ai tassi d’interesse sembra un po’ un “tirare a indovinare”. All’inizio del 2024, gli operatori di mercato si aspettavano complessivamente sei tagli ai tassi d’interesse. Meno di quattro mesi dopo, le stime parlano di un solo intervento. Forse questa volta il mercato avrà ragione e assisteremo davvero ad una sola riduzione dei tassi se i dati economici rimarranno solidi e i tassi d’inflazione aumenteranno, come ritengono attualmente gli operatori. Ma chi lo sa?
Ormai abbiamo capito che i segnali possono cambiare rapidamente. Non si può quindi escludere del tutto l’ipotesi che la politica monetaria restrittiva possa avere un impatto più evidente sulla crescita e sui tassi d’inflazione tra qualche mese. Se l’economia statunitense continuerà la sua forte espansione, è persino plausibile - anche se non molto probabile - che la Fed sia costretta ad aumentare i tassi d’interesse.
Vista la situazione complessa dei mercati dei capitali, è comprensibile che al momento la Fed stia facendo del suo meglio, navigando a vista. Ad ogni modo, per noi e per la nostra strategia d’investimento queste dinamiche non sono determinanti, perché a differenza delle autorità monetarie che basano le proprie decisioni sui dati, i nostri portafogli non dipendono in modo binario dal verificarsi o meno di singoli punti di crescita e/o inflazione. Importante per noi non è tanto “Cosa succederà ai mercati?”, ma piuttosto “Cosa può succedere per non sbilanciare il portafoglio?”
Ecco perché cerchiamo di attrezzarci sempre in modo ottimale per affrontare un’ampia gamma di scenari. Nelle fasi di turbolenza, il portafoglio è abbastanza resiliente da contenere le perdite a livelli sostenibili, mentre nei periodi più tranquilli consente di generare utili discreti.
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