Signor Conrad, maggio è stato un mese movimentato per i mercati obbligazionari. Cosa ha tenuto impegnati gli investitori?
Lars Conrad: I mercati sono rimasti volatili anche a maggio, e ancora una volta sotto i riflettori ci sono finite le dichiarazioni altalenanti del presidente degli Stati Uniti in merito a possibili dazi doganali. Il primo accordo commerciale tra Stati Uniti e Regno Unito non ha suscitato particolari reazioni sui mercati. Diverso il caso della sospensione temporanea – per 90 giorni – dei dazi tra Stati Uniti e Cina: qui l’impatto è stato evidente. Abbiamo assistito a una vera e propria ondata di vendite sui Treasury americani.
I titoli di Stato USA sono considerati un bene rifugio a livello globale…
…ma questa percezione sta cominciando a vacillare. Il debito pubblico continua a crescere senza freni e con esso anche i costi degli interessi. A questo si aggiungono incertezze legate alla crescita economica e all’inflazione nella più grande economia del mondo. Anche le agenzie di rating non possono ignorare questa situazione.
Negli ultimi tempi le dinamiche sono state particolarmente intense.
A metà maggio Moody’s ha declassato il rating degli Stati Uniti da Aaa ad Aa1. In questo modo, gli USA hanno perso l’ultimo rating tripla A che ancora conservavano tra le tre principali agenzie di valutazione del credito. Uno dei motivi principali è stato l’aumento del debito pubblico e degli oneri legati agli interessi.
Come hanno reagito i mercati?
Anche se la decisione era in gran parte attesa, ha comunque messo ulteriore pressione sulla parte lunga della curva dei rendimenti. I tassi sui Treasury decennali sono saliti temporaneamente oltre il 4,6%, mentre quelli dei titoli a venti e trent’anni hanno superato il 5,1%. Ovviamente un ruolo l’ha avuto anche la “Big Beautiful Bill” di Donald Trump. Il disegno di legge fiscale ha superato l’esame della Camera dei Rappresentanti e infligge un altro colpo alla solidità finanziaria degli Stati Uniti. Il trend di tassi più alti sulle scadenze lunghe resta ben presente, soprattutto a fronte di deficit pubblici elevati.
Alla fine, il debito pubblico va pur sempre finanziato. Sarà possibile farlo anche in futuro?
Bella domanda, ma non c’è una risposta semplice. Senza il mercato – cioè senza quegli investitori disposti a prestare soldi agli Stati e a farsi compensare per i rischi – nessun paese può sostenere il proprio debito. Se i premi per il rischio continuano a salire, si rischia, in ultima istanza, il default.
A meno che non intervenga la banca centrale.
Ed è proprio questo il nocciolo della questione. Per ora non siamo ancora a quel livello, ma il tema di fondo rimane: quanto possono restare neutrali le banche centrali? Da un lato sono indipendenti, certo. Dall’altro, però, i governatori vengono nominati dalla politica e in caso di emergenza devono garantire la stabilità del sistema monetario. È possibile quindi che in futuro si apra un conflitto tra politica e mercato. Situazioni simili ci sono già state, ad esempio durante il “Grande Massacro delle Obbligazioni” negli anni Novanta, quando i rendimenti dei Treasury schizzarono alle stelle e il governo fu costretto a tagliare il deficit. Fare previsioni concrete sul mercato, però, è davvero complicato. Le speculazioni non aiutano gli investitori. Alla fine, comunque, non si può prescindere dagli Stati Uniti.
In che senso?
In fondo, si torna sempre alla stessa domanda: dove investire? Il debito pubblico degli Stati Uniti potrebbe superare i 37.000 miliardi di dollari entro la fine dell’anno. Anche solo una parte di questa somma non può essere facilmente riallocata su asset alternativi comparabili – semplicemente perché non esiste un’offerta sufficiente. Inoltre, il dollaro USA continua ad essere la valuta di riferimento a livello globale.
E com’è andata a maggio dall’altra parte dell’Atlantico?
La situazione è apparsa un po’ più tranquilla. Nell’Eurozona, la crescita è rimasta bassa, mentre l’inflazione ha continuato a rallentare. Un po’ di volatilità si è vista dopo la minaccia – poi rinviata – di Trump di imporre dazi del 50% sulle esportazioni europee. Nel confronto mensile, i Bund tedeschi hanno ottenuto risultati nettamente migliori rispetto ai Treasury americani.
E dal Giappone sono arrivate novità?
Sì, anche lì si sono registrati forti rialzi dei rendimenti sui titoli di Stato a lunga scadenza, come accaduto negli Stati Uniti. In molti paesi industrializzati osserviamo una tendenza comune: i tassi d’interesse stanno salendo e le curve dei rendimenti si stanno facendo sempre più ripide – un andamento trainato soprattutto dalla crescita del debito pubblico.
Come reagiscono gli investitori in un contesto come quello attuale?
Dipende sempre dagli obiettivi che si vogliono raggiungere nel mercato obbligazionario. In fondo, la vera domanda è: quanto rischio – o meglio, quanta volatilità – si è disposti a sopportare?
E nel caso di una strategia difensiva?
Prendiamo ad esempio il nostro fondo Flossbach von Storch – Bond Defensive. Già prima delle ultime turbolenze, il fondo presentava una duration contenuta, intorno a 1,7 anni (dato aggiornato a fine aprile), il che lo ha reso meno sensibile ai movimenti sulla parte lunga della curva dei rendimenti. A maggio, il rialzo dei tassi è stato sfruttato per effettuare nuovi acquisti, riportando la duration – che era stata accorciata per motivi tattici – verso il livello neutro, attorno ai 2 anni.
Ci sono state anche delle opportunità?
Sì, certo. In una strategia difensiva l’attenzione è rivolta soprattutto ai titoli di Stato e alle obbligazioni con elevata qualità creditizia. Già ad aprile, approfittando dell’aumento degli spread, erano stati effettuati alcuni acquisti selettivi di obbligazioni societarie. A maggio, inoltre, ci sono state diverse nuove emissioni interessanti. Quanto alla performance, in un anno finora piuttosto movimentato, il fondo si è comportato in modo stabile, segnando un rendimento positivo di circa l’1,5% su base annua.
E cosa è successo nella strategia di investimento più flessibile?
Qui ci sono stati movimenti un po’ più marcati. Nel mese di maggio la performance è stata leggermente negativa, anche se il rendimento da inizio anno resta positivo. La duration più lunga – pari a 8,12 anni a fine maggio – ha inciso negativamente. Tuttavia, l’allocazione complessiva, in particolare il contributo delle obbligazioni societarie, ha aiutato ad assorbire parte dell’impatto. A maggio abbiamo apportato poche modifiche alla componente corporate. Abbiamo però realizzato profitti su titoli con rating leggermente più basso (BBB), aumentando nel contempo la quota di obbligazioni con rating elevato AA.
Le turbolenze negli Stati Uniti influiscono sulla selezione obbligazionaria?
Sì, siamo diventati più prudenti. La politica commerciale imprevedibile di Trump ci ha spinto, ad esempio, ad aumentare la copertura valutaria sul dollaro USA a livello di portafoglio. A maggio, abbiamo ridotto l’esposizione netta al dollaro statunitense portandola intorno al 2,9%.
E qual è il vostro outlook?
Restiamo piuttosto orientati verso una duration più lunga nell’Eurozona, vista la dinamica di crescita fiacca. Questo vale soprattutto per le obbligazioni societarie. Per quanto riguarda i titoli di Stato europei, invece, siamo più cauti sulle scadenze lunghe, anche in vista di un possibile irripidimento strutturale delle curve dei rendimenti, spinto dall’aumento del debito pubblico. In questo contesto, privilegiamo le scadenze intermedie – il cosiddetto “belly” della curva. Sulle scadenze lunghe, invece, preferiamo titoli di emittenti societari di alta qualità e obbligazioni indicizzate all’inflazione. Naturalmente, questa è un’istantanea della situazione attuale, che può cambiare se il contesto di mercato si modifica. Gli investitori devono sempre tenere d'occhio il quadro generale.
Vale a dire?
A nostro avviso, ci sono oggi diversi buoni motivi per investire in obbligazioni. I rendimenti sono tornati interessanti e quindi i bond possono finalmente tornare a svolgere la loro funzione: offrire rendimenti prevedibili e fungere da cuscinetto contro la volatilità azionaria nei portafogli diversificati. Chiaramente questo approccio funziona solo se i rischi e le opportunità vengono analizzati in modo professionale – e se c’è sufficiente flessibilità nella selezione dei singoli titoli, all’interno della strategia di investimento. Per noi, non si tratta semplicemente di replicare indici, aree geografiche, fasce di rating o scadenze. Le decisioni di investimento devono basarsi sulla realtà dei mercati – e questa, come ben sappiamo, può sempre cambiare.
Signor Conrad, grazie per la disponibilità.
Lars Conrad è Portfolio Director Fixed Income in Flossbach von Storch SE.
La serie “Bonds in the Spotlight” viene aggiornata regolarmente sul nostro sito web ogni volta che rileviamo sviluppi significativi nella politica monetaria o nei mercati obbligazionari. Facendo parte del team obbligazionario di Flossbach von Storch, gli autori raccolgono le informazioni di prima mano.
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