Negli ultimi mesi, su diversi media (finanziari e non) e in vari rapporti sui mercati, mi è capitato più volte di imbattermi in titoli altisonanti come "Il Multi Asset è tornato". Magari anche in inglese: "Multi Asset is back", che fa molto cool. Il testo a seguire dipingeva l'evento come un'ottima notizia per gli investitori, soprattutto per quelli più prudenti.
Ma cosa si nasconde in realtà dietro il titolo?
Le strategie multi-asset combinano diverse classi di attività (in primis azioni e obbligazioni) per offrire diverse opzioni adatte ai profili di rischio di varie tipologie di investitori. Nelle varianti piuttosto difensive la componente obbligazionaria o a reddito fisso prevale su quella azionaria, in quanto percepita come molto meno rischiosa di quest'ultima.
La "legge non scritta del Multi-Asset"
In genere i prezzi delle obbligazioni oscillano molto meno rispetto alle quotazioni azionarie. Inoltre, il reddito corrente e l'ammontare rimborsato sono prestabiliti sin dall'inizio. In altre parole, gli investimenti obbligazionari sono più pianificabili di quelli azionari: altra caratteristica che attira gli investitori piuttosto conservativi.
C'è un altro particolare che differenzia azioni e obbligazioni – o almeno così era in passato: nelle fasi di turbolenza sui mercati azionari, quando le quotazioni colano a picco, s'impenna la domanda di obbligazioni di emittenti (pubblici) di prim'ordine in quanto ritenute "beni rifugio". È il caso, ad esempio, dei Treasury (titoli di Stato USA) o dei Bund tedeschi. I ribassi subiti su un fronte (quello dalle azioni) vengono quindi compensati, almeno in parte, dai rialzi dei prezzi sul fronte opposto (quello obbligazionario). In gergo si parla di correlazione negativa ed è la "legge non scritta", ma sacrosanta, che governa gli investimenti multi-asset.
Il 2022 l'ha praticamente abrogata. I prezzi di azioni e obbligazioni calavano all'unisono, senza compensare un bel niente. Di conseguenza anche i fondi multi-asset difensivi, cioè quelli con un'elevata componente obbligazionaria, hanno perso parecchio terreno. Paradossalmente sono quindi stati colpiti tutti quegli investitori che cercano di evitare i rischi, perché perdono il sonno se il valore del loro patrimonio subisce forti fluttuazioni e proprio per questo motivo preferiscono investire in obbligazioni.
E così, sui fondi multi-asset difensivi ha iniziato a calare il sipario. A cosa sarebbero serviti questi prodotti se non riuscivano più ad assolvere il loro compito principale, ossia proteggere il capitale in tempi di crisi?
Un centenario dall'Austria
Per rispondere a questa domanda conviene dare uno sguardo più approfondito al 2022 e soprattutto agli anni precedenti …
Con la pandemia di coronavirus, le principali banche centrali hanno di fatto azzerato i tassi d'interesse. All'epoca i prezzi folli delle obbligazioni di prim'ordine riflettevano esattamente questo scenario: la fine dei tassi d'interesse. Chi le acquistava e le deteneva fino alla scadenza, avrebbe avuto una perdita garantita! In altre parole, con tassi d'interesse prossimi allo zero (o persino negativi), il potenziale di rendimento futuro delle obbligazioni era estremamente modesto e, viceversa, il rischio di ribasso molto elevato.
Cosa sarebbe successo se a un certo punto gli interessi fossero tornati (necessariamente) a salire, ad esempio per l'aumento dell'inflazione?
E in effetti è andata proprio così. Le iniezioni di liquidità messe in campo dagli Stati si sono scontrate con un'offerta di beni limitata a causa della pandemia e dei conseguenti problemi alle catene di fornitura, facendo lievitare i prezzi dei beni. Poi è arrivata l'invasione della Russia in Ucraina, e l'atroce conflitto ha fatto salire alle stelle i prezzi dell'energia. Alla fine, l'inflazione ha segnato gli aumenti più consistenti degli ultimi decenni.
Le banche centrali non avevano scelta: dovevano per forza aumentare i tassi d'interesse in misura altrettanto consistente – cosa che ha depresso i prezzi dei titoli già in circolazione.
Per dare un'idea del crollo epocale delle obbligazioni, ma anche del delirio che l'ha preceduto, si cita spesso un caso emblematico: il titolo di Stato austriaco a cent'anni, provvisto di una cedola del 2,1% ed emesso nel 2017 per celebrare il centenario della Repubblica d'Austria. Il prezzo si è impennato fino a quota 250! Con un rendimento a tratti inferiore allo 0,5%, per un'obbligazione che all'epoca aveva una scadenza a oltre 97 anni ...
Il prezzo è poi miseramente crollato con il forte aumento dei tassi d'interesse, toccando il fondo a quota 60 (si veda sulla sinistra): praticamente ridotto a un quarto – e parliamo del prezzo di un'obbligazione! Una catastrofe per tutti gli investitori che l'avevano comprata a livelli nettamente superiori a 100. Un caso senza precedenti nella storia.
(copy 209)
Con i numerosi aumenti dei tassi di riferimento da parte delle principali banche centrali e il conseguente crollo dei prezzi sul mercato obbligazionario, nel frattempo il profilo di rischio/rendimento è sensibilmente migliorato. All'uscita di scena è quindi seguito un ritorno trionfale, soprattutto verso la fine del 2023.
Ed ecco spuntare i titoloni, spesso inflazionati, di cui parlavamo in apertura: "Il ritorno del Multi-Asset". Le obbligazioni sono tornate a offrire rendimenti che hanno permesso di preservare il capitale al netto dell’inflazione attesa, o addirittura hanno garantito un tale risultato nel caso dei titoli indicizzati all’inflazione.
Va detto, però, che il potenziale rendimento è già di nuovo in parte intaccato – in particolare nell’eurozona. Questo perché gran parte degli investitori sono convinti che le banche centrali dovrebbero vincere la lotta contro l'inflazione e che quindi inizieranno presto ad abbassare i tassi d'interesse. Il prezzo del titolo di Stato austriaco a cent'anni, ad esempio, è tornato oltre quota 80.
Quindi il Multi Asset sta già uscendo nuovamente di scena, dato che anche il potenziale di rendimento – in prospettiva futura – è già svanito?
Secondo noi no. La pandemia di coronavirus è stata una parentesi unica nel suo genere; i tassi d'interesse a zero o negativi – storicamente parlando – sono stati un'eccezione e non la regola. Chi si occupa regolarmente di investimenti deve arrendersi, prima o poi, all'evidenza: purtroppo non esistono formule magiche in grado di proteggere da tutti i rischi; non esiste fondo né strategia d'investimento - offensiva o difensiva - capace di prosperare in qualsiasi fase di mercato. L'importante è affidarsi a una strategia coerente e ben strutturata. Conta molto anche l'orizzonte temporale dell'investimento: chi ha tempo e pazienza può tener duro in queste fasi di follia.
Dal canto nostro non crediamo che l'inflazione – e quindi il tasso d'interesse – sia destinata a svanire così rapidamente. L'eccezione non diventerà la regola: vi sono motivi strutturali che lo impediscono. Chi legge questa rivista conoscerà bene le "tre D": Demografia, Deglobalizzazione e Decarbonizzazione. Sono tutte tendenze destinate a spingere i prezzi al rialzo. Nei prossimi anni le banche centrali ci andranno quindi "con i piedi di piombo" per quanto riguarda i tagli ai tassi d'interesse.
In prospettiva, il contesto per i fondi multi-asset (difensivi) è dunque molto più favorevole rispetto agli anni precedenti. Il Multi Asset non è più scomparso, bensì è ancora qui tra noi.
E se guardiamo agli anni di tassi d'interesse zero come a un'eccezione o un'anomalia, si direbbe persino che – in realtà – non era mai uscito di scena per davvero …
… è ancora tra noi!
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