12.04.2023 -
L’enorme aumento dei prezzi al consumo è onnipresente, ma molto difficile da quantificare. Tuttavia, la politica monetaria mira a controllare l’inflazione con precisione millimetrica. E questo è rischioso.
L’euro come moneta legale fu introdotto nel 2002. Da allora, in Germania la moneta comune è stata ribattezzata Teuro (da teuer, caro). In seguito, per molti anni, l’inflazione dei prezzi al consumo in Germania è stata inferiore al 2%. Dall’introduzione dell’euro, il vero rincaro si è verificato soltanto lo scorso anno, e questo ha poco a che fare con la conversione della moneta dal marco tedesco all’euro.
Per la prima volta, molti di noi stanno effettivamente sperimentando ormai da tempo tassi di inflazione tali da giustificare il soprannome di “Teuro”. Che sia dal panettiere, al supermercato o al ristorante preferito, i consumatori non possono sottrarsi all’aumento del costo della vita. Ma a quanto ammontava l’inflazione in Germania nel 2022? Che cosa dicono le statistiche?
In realtà, vengono citati tre valori. Così, l’inflazione dei prezzi al consumo in Germania lo scorso anno è stata quantificata al
E tutte e tre le cifre potrebbero essere giustificate. Forse, a questo punto, qualcuno si starà strofinando gli occhi. Ma com’è possibile?
La risposta a), cioè un tasso d’inflazione del 6,9%, si riferisce ai tassi di inflazione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo pubblicato dall’Ufficio federale di statistica. La risposta b) indica la stessa cifra che, tuttavia, si basa ancora su un “vecchio” paniere di beni, che viene rivisto ogni cinque anni e l’ultima volta è stato adeguato in modo retrospettivo a febbraio 2023. Infine, la risposta c) è il tasso d’inflazione della Germania in base all’indice armonizzato dei prezzi al consumo di Eurostat, l’Ufficio statistico dell'Unione europea, che mira a garantire una maggiore comparabilità dei tassi d’inflazione tra gli Stati dell’Unione europea.
Ognuno di questi tre tassi d’inflazione si basa su un paniere di beni (leggermente) diverso. In altre parole: per un paniere conta di più l’andamento dei costi delle abitazioni, per l’altro quello dei carburanti. Di conseguenza, l’andamento (identico) dei prezzi di singoli beni e servizi incide in modo diverso sui rispettivi indici dei prezzi.
L’ultima revisione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo dell’Ufficio federale di statistica dello scorso febbraio mostra quanto possano influire variazioni anche minime del paniere di beni. Dopo le modifiche, l’inflazione dei prezzi al consumo in Germania nell’ultimo anno si è attestata a un punto percentuale in meno rispetto a prima. Per i singoli mesi, le differenze dovute a questi adeguamenti (revisioni) sono a volte più marcate, a volte più lievi (cfr. grafico seguente).
In primo luogo, ciò è dovuto a un diverso “schema di ponderazione”, cioè a un nuovo peso all’interno del tipico paniere di beni ideale. Il gas, ad esempio, rappresenta solo l’1,13% del “nuovo paniere”, rispetto al 2,48% del “vecchio paniere”. Questa variazione apparentemente minima, da sola, ha un impatto significativo sul nuovo calcolo dell’inflazione dei prezzi al consumo.
Per il gas, infatti, l’anno scorso sono stati raggiunti tassi d’inflazione fino all’82,8% (a novembre). Applicando questo aumento del prezzo dell’82,8% su un peso del 2,48%, nel novembre dello scorso anno l’incremento del prezzo del gas avrebbe contribuito all’inflazione totale per 2,05 punti percentuali (82,8%*2,48%). Con il nuovo peso il contributo è di soli 0,94 punti percentuali, quindi oltre un punto percentuale in meno.
Questo dimostra che la misurazione dell’inflazione è una faccenda complessa. In ultima analisi, non esiste un (vero e proprio) tasso d’inflazione. A rigor di logica, ognuno di noi ha un suo personalissimo tasso d’inflazione, che dipende dal comportamento di spesa individuale. Ciononostante, i tassi d’inflazione dichiarati dagli uffici di statistica sono molto importanti, poiché offrono un’immagine molto chiara di quale sarà il livello di inflazione nel quadro generale. Questo consente alle aziende di utilizzare l’inflazione dichiarata come riferimento per stabilire i loro prezzi. Per la politica monetaria, i tassi di inflazione dichiarati sono addirittura esistenziali.
Il mandato della Banca centrale europea (BCE) è formulato in modo inequivocabile. “L'obiettivo primario [...] è il mantenimento della stabilità dei prezzi”, recita il trattato sul funzionamento dell'Unione europea (UE). I banchieri centrali della BCE hanno formulato questo obiettivo di stabilità dei prezzi in modo tale da puntare a un tasso di inflazione del 2% rispetto all’anno precedente nel medio termine. Questo obiettivo di inflazione è facilmente comprensibile e nel corso degli anni si è impresso in modo piuttosto chiaro nella mente delle persone, determinando le aspettative inflazionistiche in un orizzonte di lungo termine, spiegano le banche centrali.
Tuttavia, come illustrato sopra, la misurazione dell’inflazione è estremamente complessa e piccoli adeguamenti del calcolo dell’inflazione possono avere effetti significativi sul risultato. In tempi di inflazione elevata, eventuali imprecisioni di misurazione potrebbero non comportare grandi differenze. Anche in questo momento non è determinante se l’inflazione si attesta intorno al 6%, al 7% o all’8%. È comunque troppo alta e richiede un intervento deciso di politica monetaria.
In tempi di maggiore calma, tuttavia, in presenza di un obiettivo di inflazione chiaro e di una misurazione imprecisa esiste il rischio che concentrarsi su un atterraggio di precisione del 2% possa essere fuorviante.
Alla fine del 2017, quando l’inflazione nell’eurozona era all’1,5%, i guardiani dell’euro giustificavano ancora gli ingenti acquisti di titoli da parte della banca centrale ai fini del perseguimento dell’obiettivo di inflazione. Allora, la somma degli acquisti di titoli avviati nel 2015 ammontava a oltre duemila miliardi di euro. E, con questa giustificazione, dal 2018 gli acquisti sono proseguiti al ritmo di 30 miliardi di euro al mese.
Sul fronte della politica monetaria, resta dunque molto discutibile fino a che punto l’orientamento della politica monetaria debba basarsi sul decimale di un dato di inflazione dichiarato (per non parlare di un dato previsto). In ogni caso, un atterraggio di precisione del 2% difficilmente rende giustizia alla precisione apparente di un dato sull’inflazione.
Non sarebbe dunque meglio se le banche centrali indicassero un obiettivo di inflazione ampio, ad esempio compreso tra lo 0,5% e il 2,5%, in cui il mandato della stabilità dei prezzi sia considerato assolto? Del resto, l’inflazione dell’1% è pur sempre più stabile di quella del 2%, poiché il potere d'acquisto del denaro è meno svalutato. In linea con questa interpretazione del mandato, la politica della BCE dopo la crisi dell’euro probabilmente sarebbe stata meno espansiva.
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