03.02.2023 -
La BCE e la FED hanno aumentato nuovamente i tassi d'interesse nella lotta all' inflazione . In questa intervista il Dr. Tobias Schafföner parla delle ulteriori prospettive (sui tassi di interesse) e delle conseguenze per i mercati dei capitali.
Dopo l’annuncio della Fed, ieri anche la BCE ha aumentato, ancora una volta, i tassi di interesse di riferimento. Negli Stati Uniti i tassi sono aumentati solo dello 0,25%, mentre nell'Eurozona si è registrato un aumento dello 0,5%. Forse la BCE deve recuperare terreno nella lotta all'inflazione?
L'andamento dell'inflazione negli Stati Uniti e nell'Eurozona è stato paragonabile, ma la BCE ha reagito più tardi e con maggiore esitazione - in questo senso, sembrerebbe che stia rincorrendo la FED. Oggi per la prima volta dall'inizio del ciclo di rialzo dei tassi, il differenziale dei tassi di riferimento si è ridotto. Tuttavia, ci sono ancora più di 1,5 punti percentuali tra le due principali aree valutarie. È probabile che il divario si riduca ancora con le riunioni di marzo, ma è improbabile che si chiuda del tutto nel medio termine.
Quanto saliranno ancora i tassi di interesse?
A prima vista, il piano di azione è chiaro: Sia il capo della Fed, Jerome Powell, che il capo della BCE, Christine Lagarde, hanno accennato alla prospettiva di ulteriori interventi sui tassi di interesse. Powell ha parlato di "un altro paio di passi” (letteralmente "a couple more"), che dovrebbe essere interpretato come due ulteriori passi da 25 punti base ciascuno. Lagarde ha esplicitamente annunciato un ulteriore rialzo dei tassi di 50 punti base per la riunione di marzo e vorrebbe decidere in seguito a seconda dei dati.
Quanto è affidabile questo piano d’azione?
Purtroppo, non lo è più. Sia Powell che Lagarde, con la politica di comunicazione dell’anno scorso, hanno seppellito il valore della "Forward Guidance". L'andamento dell'inflazione ha colto tutti di sorpresa e hanno dovuto agire in tempi molto brevi, rispetto alle loro previsioni. Entrambi ne sono consapevoli, naturalmente, ed è per questo che i loro tentativi di spiegazione appaiono maldestri: Lagarde ha sottolineato ieri che l'intenzione della BCE è quella di aumentare i tassi di interesse di riferimento di 0,5 punti percentuali a marzo, ma non è un "impegno assoluto, irrevocabile e incondizionato".
La politica monetaria è quindi tornata a dipendere dai dati?
Sì, decisamente. E anche questo è un passaggio positivo, considerando i dati nel medio termine. I rialzi dei tassi d'interesse, infatti, hanno un effetto ritardato nel tempo; in questo senso, sarebbe un errore continuare ad aumentare il costo del denaro ad un ritmo record per contenere il tasso d'inflazione verso l'obiettivo del 2%. I danni collaterali di una simile politica sarebbero incalcolabili.
Ora, però, la Fed ha ridotto per la seconda volta l'entità delle sue manovre sui tassi di interesse, anche se l'inflazione non si è ancora avvicinata al 2%.
L'inflazione negli Stati Uniti ha raggiunto il picco massimo a giugno, con il 9,1% mentre a dicembre abbiamo registrato il 6,5%. I prezzi dell'energia hanno avuto un ruolo importante in questa diminuzione. Il tasso di inflazione core, ovvero l'inflazione al netto dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari, ha raggiunto il picco solo a settembre, al 6,6%, per poi scendere al 5,7%. Il calo risulta quindi meno dinamico rispetto al dato di inflazione aggregata; il tasso core potrebbe presto superare “l’Headline-Rate”. Le argomentazioni della Fed nel corso dell’anno si preannunciano complesse, soprattutto se il tasso di inflazione core rimarrà ancora elevato. Tuttavia, bisogna aggiungere che la Fed considera positivo il recente calo della crescita del costo del lavoro.
Come si prospettano gli sviluppi nell'Eurozona?
Nell'area euro, il costo dell'energia sull'inflazione dovrebbe avere un effetto negativo già a marzo. Ci aspettiamo quindi un calo significativo dell'inflazione complessiva, mentre il core rate dovrebbe rimanere persistentemente al di sopra del valore target. Inoltre, continua ad esserci una certa carenza di manodopera: le pressioni salariali, infatti, sono il fattore più importante per la crescita dei tassi di inflazione, sia negli Stati Uniti che nel nostro Paese, anche nel lungo periodo. Non ci aspettiamo quindi una rapida inversione di tendenza nella politica monetaria. A maggior ragione perché, dopo un iniziale rallentamento, dovrebbe risultare evidente che molti fattori che determinano l’inflazione sono di natura strutturale.
Negli ultimi mesi l'euro si è apprezzato di circa il 15% rispetto al dollaro USA. Che ruolo ha avuto Christine Lagarde in tutto questo?
L'apprezzamento dell'euro è iniziato - partendo da un livello molto basso - a settembre, dopo che la BCE aveva segnalato con un aumento dei tassi di interesse di 75 punti base che anch'essa avrebbe preso sul serio la lotta all'inflazione. In questo senso, la successiva convergenza della politica monetaria ha certamente contribuito all'apprezzamento dell'euro. La zona euro non è ancora in profonda recessione e gli impianti di stoccaggio del gas sono ancora ben pieni. Lo sviluppo economico complessivo contribuisce quindi alla valutazione positiva della moneta comune.
Tuttavia, le prospettive economiche sono piuttosto cupe e i leader delle banche centrali hanno dichiarato di voler aumentare ulteriormente i tassi di interesse. Come mai, allora, i mercati azionari e obbligazionari hanno reagito in modo quasi euforico?
In entrambe le conferenze stampa sono state rilasciate dichiarazioni degne di nota. Powell, ad esempio, ha affermato che è iniziato un "processo disinflazionistico". Gli è stato anche chiesto cosa ne pensasse del fatto che i mercati dei capitali stanno già prezzando una riduzione dei tassi di interesse per la seconda metà dell'anno. Invece di opporre un netto rifiuto a questa aspettativa, ha affermato che i tagli dei tassi di interesse sono ovviamente ipotizzabili solo se l'inflazione scende in modo molto significativo. I mercati dei capitali si sono concentrati sull'interpretazione positiva di queste dichiarazioni: Il ciclo di rialzi dei tassi di interesse si sta concludendo, il peggio è passato.
Lei condivide questa interpretazione?
Il mercato tende a esagerare. Pertanto, non bisogna sprecare troppe energie nell'interpretare i movimenti di prezzo a breve termine. Ma c'è sicuramente motivo di essere ottimisti: i tassi di inflazione potrebbero iniziare a scendere, anche per non mandare l'economia globale in recessione. E si possono anche interpretare positivamente le dichiarazioni dei banchieri centrali "dipendenti dai dati". Naturalmente, né Jerome Powell né Christine Lagarde hanno alcun interesse a innescare un vero e proprio collasso economico o la prossima crisi finanziaria attuando una politica monetaria eccessivamente restrittiva.
Tuttavia, l’ottimismo, seppur giustificato, non deve lasciare spazio all'ingenuità. Abbiamo già raggiunto un livello relativamente alto di tassi di interesse e l'aumento dei costi di rifinanziamento frena l'economia nel lungo termine. Anche le prospettive aziendali piuttosto caute per il 2023 possono essere identificate come un denominatore comune nella stima degli indicatori. Un altro fattore molto rilevante per le valutazioni azionarie è che nell'ultimo anno i titoli fruttiferi sono tornati a essere un'alternativa d'investimento interessante. Nel complesso, questi fattori fanno sì che, con una prospettiva di lungo termine fondamentalmente costruttiva, possiamo muoverci rapidamente su un atteggiamento difensivo se l'umore dei mercati azionari e obbligazionari diventa troppo disinvolto.
Tobias Schafföner è socio e gestore di portafoglio di Flossbach von Storch.
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