11.05.2022 -
L’economia stava ancora metabolizzando la pandemia di coronavirus quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Pablo Duarte, Senior Research Analyst presso il Flossbach von Storch Research Institute, ne spiega le conseguenze.
Signor Duarte, per due anni il coronavirus e i relativi lockdown hanno tenuto in scacco l’economia mondiale. Poi, quando in Occidente l’emergenza pandemica stava quasi per rientrare, le truppe russe hanno invaso l’Ucraina. Cosa significa tutto questo per l’economia mondiale?
Pablo Duarte: L’attacco russo e l’imposizione di nuovi lockdown in Cina hanno fatto ulteriormente lievitare i prezzi delle materie prime e provocato altre strozzature alle catene di approvvigionamento. Una certa tendenza alla stagflazione – cioè stagnazione economica combinata all’inflazione – si era già manifestata all’inizio dell’anno, ma ora il conflitto in Ucraina e le misure restrittive di Pechino hanno esacerbato questa dinamica.
Con lo scoppio della pandemia di coronavirus, la produzione economica è crollata in tutto il mondo. Non ci eravamo ancora ripresi ed è arrivato l’attacco russo...
L’Europa zoppica. Dopo il declino globale della produzione economica nel 2020, tra le maggiori economie solo l’Eurozona non è ancora riuscita a recuperare il precedente tracciato di crescita. Negli Stati Uniti, il prodotto interno lordo (PIL) reale per il 2020 era sì calato, ma nel 2021 – grazie a una rapida ripresa prima nell’industria e poi nel commercio al dettaglio – la tendenza si è di nuovo allineata a quella osservata fra il 2009 e il 2019. In Cina, il PIL era rimasto in territorio positivo già nel 2020 e nel 2021 è tornato a superare la soglia di espansione tendenziale del 6-7%.
Ora però Stati Uniti ed Europa sono in balia di un’impennata da record dell’inflazione. Cosa si può fare per contrastarla?
Una politica monetaria espansiva, associata ai persistenti problemi di approvvigionamento, ha creato un eccesso di domanda in entrambe le regioni. Le banche centrali dovrebbero risolvere il problema inasprendo il loro approccio monetario – strategia che però avrebbe successo solo se i tassi d’interesse nominali superassero quelli d’inflazione. Uno scenario tutt’altro che auspicabile dagli Stati Membri dell’Eurozona altamente indebitati. Tassi d’interesse reali positivi andrebbero a pesare anche sul mercato azionario, mettendo in difficoltà i responsabili politici negli Stati Uniti.
La Federal Reserve statunitense ha già iniziato ad aumentare i tassi d’interesse.
Le banche centrali non possono rimanere completamente inerti di fronte a un’inflazione galoppante. Anche la Banca Centrale Europea vuole revocare prima del previsto il suo programma di acquisto di obbligazioni e ha già aperto le porte ad un aumento dei tassi di riferimento entro fine anno. Tutto questo ha suscitato sui mercati la paura di una recessione…
…perché se aumentano i tassi non può aumentare anche la crescita, giusto?
Anche. Ma soprattutto perché l’Eurozona, che non si è ancora del tutto ripresa economicamente da due anni di pandemia, ora deve anche fare i conti con le sanzioni contro la Russia. Gli Stati Uniti, dal canto loro, si sono lasciati alle spalle la pandemia e possono beneficiare del forte rincaro delle materie prime. Lì invece della “stagflazione”, è plausibile uno scenario di coesistenza di crescita e inflazione , la cosiddetta “growthflation”. C’è però il rischio che un surriscaldamento dell’economia statunitense provochi un inasprimento della politica monetaria, che scatenerebbe a sua volta una recessione. Senza dimenticare il clima di incertezza in Cina.
In Cina? Ma la Repubblica Popolare aveva superato a testa alta i due anni di pandemia e la politica monetaria durante la crisi del coronavirus non è stata particolarmente aggressiva. Dove sta il problema?
Dopo che il governo era inizialmente riuscito a contenere con successo la diffusione del coronavirus con la sua strategia “zero Covid” e l’economia reale si era rapidamente ripresa dal primo shock, ora Pechino è alle prese con la nuova variante altamente contagiosa Omicron e cerca di controllarla con gli ennesimi lockdown. La situazione non è facile. Da un lato, solo il 60% circa degli ultrasessantenni è stato vaccinato, per giunta con un vaccino che si è rivelato molto meno efficace rispetto a quelli autorizzati nel nostro paese. Pertanto, un focolaio potrebbe provocare tantissimi decessi, come accaduto di recente a Hong Kong. Dall’altro lato, la strategia zero Covid limita l’attività economica e prolunga le strozzature nelle catene di approvvigionamento, che persistono ormai da oltre un anno.
La lotta al coronavirus in Cina si sta quindi dimostrando un grave freno alla crescita?
Esatto. Come se non bastasse, aumentano i rischi nel settore immobiliare. La quota diretta e indiretta di questo segmento sul valore aggiunto lordo è del 20-25%. Un crollo potrebbe far precipitare l’economia nella recessione.
Il panorama è tutt’altro che incoraggiante!
Le prospettive per la Cina dipendono da quanto ancora il governo si atterrà alla strategia zero Covid e da quanto il calo dei prezzi immobiliari inciderà sul settore finanziario. Se è vero che Pechino intende contrastare in modo energico qualunque crisi, è altrettanto vero che questo atteggiamento potrebbe compromettere la crescita del paese in un’ottica di più lungo termine, facendo vacillare l’accettazione politica del Partito.
Dr. Pablo Duarte è Senior Research Analyst presso l’istituto indipendente di ricerca “Flossbach von Storch Research Institute” dal 2020. Ha conseguito il dottorato e studiato economia presso l’Università di Lipsia, New York University e Universidad del Rosario (Colombia. I suoi interessi di ricerca includono Macroeconomia internazione e politica economica.
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