03.01.2023 - Flossbach von Storch

“La rinascita dei mercati emergenti”


“La rinascita dei mercati emergenti”
Michael Altintzoglou

Secondo il gestore di portafoglio , Michael Altintzoglou, durante l’ultima crisi i mercati emergenti sono apparsi più resilienti rispetto al passato. Ecco una panoramica della situazione. 

Signor Altintzoglou, nel 2022 le azioni dei mercati emergenti hanno sottoperformato i portafogli concentrati su Stati Uniti o Europa. Quali sono, a suo avviso, le prospettive per questa classe di attivi nel nuovo anno? 

Non è facile formulare previsioni generali su un gruppo di paesi così eterogenei fra loro. Quel che è certo, però, è che oggi le azioni dei mercati emergenti hanno valutazioni molto appetibili dopo anni di sottoperformance rispetto, ad esempio, alle azioni statunitensi. Inoltre, la percezione degli operatori è negativa e le aspettative sono basse, a tutto vantaggio del rapporto di rischio/rendimento.  

Sembra una valutazione molto ottimistica. Ci muoviamo però in un contesto caratterizzato da tassi d'interesse statunitensi in aumento e da un dollaro forte. Quanto è stato, o è ancora, difficile per i mercati in crescita? 

In effetti, dopo i rialzi dei tassi d’interesse varati negli USA si sono registrati forti deflussi di capitali su molte borse dei mercati emergenti. Ma a finire sotto pressione sono stati soprattutto i cosiddetti “mercati di frontiera”, ossia quelli di piccole dimensioni, con capitalizzazione di mercato e liquidità inferiori rispetto ai mercati in crescita più evoluti. A paesi emergenti come Brasile, Messico, India e Indonesia è andata relativamente meglio.  

In passato però non è stato così: penso ad esempio alla crisi dei pagamenti in America Latina, o alle crisi in Asia, Russia o Turchia. Come mai ora i maggiori mercati emergenti se la cavano meglio? 

Fondamentalmente, molti di questi mercati sono più resilienti oggi rispetto a una manciata di anni fa. Possono contare su una nuova base di investitori locali che li rende meno dipendenti dai capitali stranieri, e le loro bilance delle partite correnti sono più robuste.  

Secondo lei cosa accadrebbe se nel nuovo anno dovesse migliorare la situazione dei tassi d’interesse statunitensi, che nel frattempo sono relativamente elevati?  

Se il dollaro dovesse indebolirsi e al contempo aumentassero anche le stime sugli utili, i mercati emergenti potrebbero vivere una “rinascita”. 

E in questo momento quali mercati trova più promettenti?  

Non scegliamo le azioni in base a fattori settoriali o geografici. Vero è che il processo di valutazione tiene conto di aspetti come la politica monetaria e fiscale, le condizioni quadro istituzionali e l’andamento valutario dei singoli paesi, ma per noi è prioritaria la selezione mirata delle singole aziende. Quindi, anche nei mercati emergenti, ci concentriamo su aziende di qualità e in forte crescita nonché su società di prim’ordine dei paesi sviluppati che svolgono gran parte della propria attività commerciale nelle regioni in crescita.  

In quali paesi si concentra, secondo lei, un buon numero di società di qualità? 

A livello strutturale ci ispira particolarmente l’India. Il grado di sviluppo è ancora basso, per cui il paese ha un enorme potenziale di crescita in molti settori. Inoltre, a sostenere l’economia è soprattutto la domanda interna; quindi, l’India risulta molto meno dipendente dall’economia mondiale rispetto ad altre nazioni.  

Il mercato azionario indiano dovrebbe chiudere l’esercizio corrente in positivo. C’è ancora margine di rialzo? 

Visti i livelli elevati delle valutazioni, una fase di consolidamento nell’immediato non sarebbe una sorpresa.  

Ma? 

Ma quest’anno il mercato azionario indiano si è dimostrato molto resiliente. Gli investitori stranieri sono tornati. E dato che il mercato immobiliare si è rialzato dopo anni di magra e anche le imprese stanno portando avanti i loro progetti di investimento, le banche hanno ripreso a concedere prestiti. Tutti questi fattori potrebbero accelerare la crescita economica.  

Pensa che il sistema politico indiano sia un vantaggio? 

Come dicevo, noi investiamo solo se le condizioni quadro istituzionali e altri elementi non rischiano di compromettere troppo le attività aziendali. E in India è effettivamente così. Ma soprattutto abbiamo individuato molte società di qualità, con dirigenti che pensano al successo delle aziende in un’ottica di lungo termine. In molti casi sono le stesse famiglie fondatrici a sostenere le società come investitori di riferimento e a guidarle con una visione lungimirante.  

E la Cina? 

È la seconda economia mondiale e continua a svolgere un ruolo di primaria importanza. A differenza di quanto avviene in molti altri paesi, i suoi problemi più pressanti sono di natura interna e la Cina può affrontarli in autonomia.  

Quali sarebbero questi problemi?  

Ad esempio, la famigerata strategia “zero Covid”, che però ultimamente è giunta a un punto di svolta. L’economia potrebbe quindi finalmente riprendersi, anche se rimane il rischio di nuove restrizioni per il possibile sovraccarico del sistema sanitario, le numerose assenze per malattia e i potenziali problemi alle catene di fornitura.  

Ha detto “ad esempio”: ci sono anche altri problemi? 

Sì: il mercato immobiliare, che rappresenta circa un quarto dell’economia nazionale. Alcuni operatori del settore sono falliti, i volumi delle transazioni sono crollati e i prezzi si stanno in parte muovendo al ribasso. Nelle ultime settimane, però, la Banca centrale e il governo hanno messo in campo una serie di misure per stabilizzare il mercato; anche se probabilmente servirà un po’ di tempo per ripristinare un clima di fiducia. 

Sembra una visione cautamente ottimistica. Ma in Cina c’è anche un capo di Stato che sta diventando sempre più autoritario. Per non parlare della delicata questione di Taiwan. Come gestite questi rischi? 

Certo, ha ragione. Dal canto nostro monitoriamo la situazione molto attentamente e applichiamo un maggiore premio al rischio nei nostri modelli di valutazione, visti i gravi rischi politici. Ad ogni modo, sembra che ultimamente il governo sia tornato a concentrarsi sull’economia piuttosto che sulla politica. Inoltre, dopo gli ultimi trimestri difficili, gli utili aziendali partono da livelli relativamente bassi e lo stesso si può dire delle valutazioni. Riteniamo quindi che nel nuovo anno ci sarà spazio per sorprese positive. 

Le tensioni geopolitiche sono aumentate un po’ ovunque. Qualcuno parla addirittura di deglobalizzazione dell’economia mondiale. Si osserva già questa tendenza? 

Sì, sono sempre di più le aziende che cercano di diversificare le sedi di produzione per ridurre le dipendenze. Si parla di “nearshoring” – ossia la tendenza a ricollocare le attività aziendali in paesi limitrofi – ed è un fenomeno che a nostro avviso potrebbe favorire in particolare il Messico, data la sua vicinanza geografica agli Stati Uniti. 

Signor Altintzoglou, grazie per la disponibilità. 

 

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