11.03.2021 -
Da un anno le banche centrali cercano di contenere le conseguenze della pandemia di coronavirus, con tramite una politica monetaria ultra-accomodante. Ecco un bilancio intermedio.
Quando a gennaio 2020 il governo cinese aveva isolato la provincia di Wuhan, in occidente la pandemia sembrava ancora molto lontana. Circa un mese dopo, il 21 febbraio 2020 l’Italia annunciava il suo primo caso di coronavirus in Lombardia.
Le conseguenze si sono viste presto. I mercati dei capitali hanno scontato immediatamente la dilagante incertezza e il 28 febbraio il presidente della Federal Reserve statunitense, Jerome Powell, ha parlato per la prima volta ai microfoni della stampa mondiale, dichiarando che la politica monetaria avrebbe reagito “subito e con decisione”. Il 2 marzo è stata la volta della presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Christine Lagarde, che in una dichiarazione straordinaria si è detta pronta ad adottare all’occorrenza “misure adeguate e mirate”.
Da quegli eventi è passato circa un anno. Il mondo è cambiato radicalmente e con esso la politica monetaria. In realtà dalla crisi finanziaria del 2008, le banche centrali hanno mantenuto pressoché lo stesso atteggiamento, ovvero quello di essere sempre sul pezzo nei momenti di difficoltà.
Il 2020 si differenzia però chiaramente dalle crisi precedenti: la velocità e la portata con cui le banche centrali hanno risposto alla crisi emergente dettata dal coronavirus, hanno senza dubbio dettato nuovi standard.
Dopo l’imposizione del primo lockdown in diversi paesi europei a marzo dello scorso anno e la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale negli USA il 13 marzo 2020, le banche centrali hanno gettato in pochi giorni le basi per le misure d’intervento più ingenti della storia.
Successivamente sono stati apportati diversi adeguamenti e ampliamenti al programma. In pochi giorni, i “salvatori di ultima istanza” si sono rivelati pienamente all’altezza della loro reputazione. Il risultato di questi interventi è ben noto, ma ciò non toglie che la loro portata sia comunque straordinaria.
Tuttavia, senza un aumento duraturo dell’inflazione e della crescita, un’escalation del debito pubblico richiede un quadro permanente di bassi tassi d’interesse, altrimenti comporterebbe un implacabile squilibrio delle finanze di Stato. A tale proposito, la politica monetaria svolge un ruolo essenziale. Nel suo duplice mandato, la prima priorità è la stabilità dei prezzi, comunemente identificata in un target d’inflazione del 2%. In passato è stato piuttosto facile giustificare l’adozione di misure più espansive, visto che da anni in molti hanno mancato l’obiettivo. La seconda funzione di molte banche centrali consiste nell’offrire sostegno alla politica economica in generale. In tal senso, anche una leggera ripresa dell’inflazione mondiale nel prossimo futuro non comporterebbe affatto un’inversione di tendenza, né tanto meno una revoca immediata delle misure ultra-espansive. Considerato il recente crollo, le banche centrali non vorranno certo rischiare di soffocare sul nascere un rilancio economico.
È quindi molto probabile che le banche centrali continuino a perseguire tranquillamente la loro politica monetaria anche nel secondo anno dallo scoppio della pandemia, nonostante i primi timidi segnali di incremento dell’inflazione.
Julian Marx è Research Analyst Multi Asset e parte del team Multi Asset presso Flossbach von Storch AG dal 2015.
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