05.01.2023 -
Durante le crisi passate, le misure di sostegno promosse dalla Banca Centrale Europea attraverso la sua politica monetaria sono state molto utili. Ma presto ci sarà un conto da pagare.
Per molto tempo i programmi di acquisto delle banche centrali hanno avuto una sola direzione: quella del rialzo. Solo con lo straordinario andamento dell' inflazione dello scorso anno, questa politica monetaria ultraespansiva ha avuto una fine brusca.. Dal mese di giugno 2022 la Federal Reserve statunitense (Fed) ha iniziato a ridurre i suoi portafogli di titoli, mentre a partire da marzo di quest’anno la Banca Centrale Europea intende reinvestire solo una parte delle obbligazioni in scadenza. Eppure, le banche centrali continuano ad affogare in una marea di titoli. Alla fine del 2022 il bilancio della Fed ne contava per un valore nominale di circa 8.100 miliardi di dollari US. L’Eurosistema ne deteneva per un valore contabile intorno ai 5.000 miliardi di euro per finalità di politica monetaria.
Cifre da capogiro. Che rischiano però di trasformarsi in oneri? Dopo i forti aumenti dei rendimenti registrati lo scorso anno, infatti, il valore di mercato delle obbligazioni è nettamente diminuito. Ad esempio, nel 2022 i prezzi dei Bund tedeschi hanno subito perdite a due cifre – che l’Eurosistema non ha ancora contabilizzato. È dunque in arrivo una fattura salata per la BCE?
Se l’Eurosistema iscrivesse i suoi titoli in bilancio al valore di mercato realizzando le perdite di prezzo subite lo scorso anno, dovrebbe probabilmente registrare svalutazioni per centinaia di miliardi di euro. Ben oltre i 115 miliardi di euro che figuravano alla voce “capitale e riserve” a fine esercizio. In sostanza, esaurirebbe di colpo l’intero patrimonio netto. Anzi, probabilmente la BCE e le banche centrali nazionali si ritroverebbero con un patrimonio netto ampiamente in negativo.
Per qualsiasi impresa del settore privato, una tale situazione di deficit patrimoniale può sfociare nel fallimento. Ma per quanto riguarda le banche centrali, niente paura. In primo luogo, l’Eurosistema dispone di “riserve latenti”: le sole riserve auree, ad esempio, sfiorano i 600 miliardi di euro. E i forti rincari dell’oro registrati negli scorsi decenni non sono mai confluiti nei 115 miliardi di mezzi propri dell’Eurosistema, perché sono rilevati solo alla voce “conti di rivalutazione”. Già questo basterebbe ad ammortizzare discretamente le recenti perdite sui prezzi.
Ma c’è un particolare ancora più rilevante: in realtà è pressoché impossibile che la BCE si trovi in una situazione di carenza di liquidità, perché è in grado di onorare i propri obblighi anche in caso di patrimonio netto negativo. Infatti, l’articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea sancisce che “la Banca Centrale Europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione”. La BCE ha quindi il monopolio sull’emissione di banconote e può soddisfare qualsiasi obbligo di pagamento, senza temere problemi di illiquidità. Resta comunque il fatto che un patrimonio netto negativo non è auspicabile dal punto di vista della politica monetaria, perché una banca centrale “sovraindebitata” rischierebbe una crisi di fiducia.
Per i paesi della zona euro, il fatto che le banche centrali nazionali dell’Eurosistema si trovino a operare con un patrimonio netto negativo avrebbe anche immediate implicazioni negative. Infatti, secondo la BCE, l’indipendenza (finanziaria) della politica monetaria prevede che l’Eurosistema possa trasferire utili solo in assenza di perdite pregresse e purché siano state costituite riserve “sufficienti”. Quindi, se l’Eurosistema dovesse operare con un patrimonio netto negativo, alcuni paesi dell’Eurozona perderebbero entrate miliardarie. Ad esempio, la Banca d’Italia ha distribuito un totale di 25 miliardi di euro allo Stato italiano tra il 2018 e il 2021. Quanto al bilancio federale tedesco, è vero che è rimasto a mani vuote nel 2020 e 2021, ma nel corso del millennio anche la Germania ha beneficiato di generosi trasferimenti di utili dalla Bundesbank, intascando quasi 73 miliardi di euro tra il 2000 e il 2019.
Ad ogni modo, anche senza queste iniezioni annuali di liquidità, i paesi dell’Eurozona continuerebbero a beneficiare della politica monetaria accomodante negli anni a venire. Questo perché gli utili della banca centrale distribuiti in passato sono solo una piccola goccia nell’oceano rispetto ai risparmi sugli interessi che la politica monetaria ha permesso di conseguire negli scorsi anni e permetterà di ottenere in futuro. Lo dimostra un semplice calcolo: nel 2011 i tassi di interesse medi del debito pubblico dell’area euro erano pari al 3,4%, mentre nel 2021 erano scesi all’1,5%. Nello stesso periodo il rapporto debito/PIL dei paesi dell’Eurozona è salito dall’87,6% al 95,4%.
La politica monetaria ha dunque permesso agli Stati di risparmiare parecchio sugli interessi: ad esempio 1,9 punti percentuali nel 2021 rispetto al 2011. Considerando che alla fine del 2021 il debito pubblico dell’area euro era pari a 11.742 miliardi di euro, se i tassi di interesse medi fossero stati dell’1,9% più elevati si sarebbero generati ulteriori costi per circa 223 miliardi – e questo in un solo anno. I “risparmi sugli interessi” accumulati dal 2012 ammontano a ben 1.136 miliardi di euro (si veda Grafico seguente).
Ciò significa che i paesi della zona euro sono destinati a beneficiare della politica monetaria passata ancora per molti anni e anche in un contesto di aumento dei rendimenti. Ad esempio, un Bund che scade nel 2052 e genera costi per interessi passivi dello 0,0% annuo renderà ben felici anche i successori dell’attuale Ministro delle Finanze Christian Lindner.
Al contempo la politica monetaria può proseguire la sua linea di lotta all’inflazione nonostante le perdite sui prezzi subite lo scorso anno. Infatti, il mandato della Banca centrale non consiste nel massimizzare gli utili, e un patrimonio netto negativo non avrebbe ripercussioni dirette sulla capacità di azione della BCE. Anzi, a livello di politica monetaria, le svalutazioni incassate lo scorso anno sono di fatto inevitabili. E dimostrano che i banchieri centrali prendono molto sul serio il mandato della stabilità dei prezzi, anche a scapito del loro stesso bilancio. Se la BCE si giocasse la fiducia dei cittadini nella sua capacità di agire e lasciasse correre l’inflazione, il conto da pagare sarebbe ben più salato.
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