09.05.2023 - Bert Flossbach

Il nocciolo duro dell'inflazione


Il nocciolo duro dell'inflazione

I prezzi continuano a salire, nonostante i significativi rialzi dei tassi di interesse operati dalle banche centrali. Perché l' inflazione probabilmente ci accompagnerà più a lungo di quanto molti ottimisti sperassero.

 

In questo momento entrambe le principali banche centrali stanno lottando per raggiungere il loro obiettivo primario di stabilità monetaria. Di recente il presidente della Federal Reserve statunitense, Jerome Powell, ha ribadito più volte di essere disposto ad accettare anche un rallentamento dell'economia e del mercato del lavoro pur di raggiungere questo obiettivo.

 

Secondo le previsioni della Fed, il tasso d'inflazione core dovrebbe scendere al 2,6% già l'anno prossimo, per poi ritornare al livello target nel 2025, al 2,1%. La BCE è altrettanto ottimista: entrambe le banche centrali prevedono quindi di poter dichiarare vittoria contro l'inflazione già nel 2025.

 

Ci sono però motivi per dubitarne. Se da una parte l'aumento dell'inflazione dei prezzi al consumo ha probabilmente raggiunto il picco, in parte a causa del calo dei prezzi dell'energia, c'è un nocciolo duro di inflazione che si nasconde sotto la superficie, sotto forma di forte aumento dei costi salariali. Negli Stati Uniti ci sono ancora circa quattro milioni di posti di lavoro disponibili in più rispetto alle persone in cerca di occupazione, e questo mette i lavoratori in una posizione di forza nella contrattazione, anche se per lo più non sono sindacalizzati.

 

Per questo motivo, a differenza dell'indice generale dei prezzi al consumo, il tasso di inflazione core degli Stati Uniti praticamente non ha segnato alcuna diminuzione negli ultimi mesi, e a marzo era ancora al 5,6%.

 

Inflazione core costante

 

La situazione è simile nell'Eurozona, dove il tasso d'inflazione core ha addirittura toccato un nuovo record del 5,7% a marzo, rimanendo ancora altissimo ad aprile, al 5,6%. Le contrattazioni collettive in corso nel settore delle ferrovie e pubblico in Germania, dove sono stati richiesti aumenti salariali superiori al dieci percento, sono indicative e, con un certo ritardo, si tradurranno anche in un aumento dei prezzi di beni e servizi.

Non si può certo accusare le banche centrali di non essersi mosse, anzi. Hanno fatto seguire alle parole i fatti e hanno alzato i tassi di interesse nel modo più rapido e brusco degli ultimi quarant'anni. Negli Stati Uniti, il tasso di interesse di riferimento, il Federal Funds Target Rate è già al 5,0-5,25%, cinque punti percentuali in più rispetto a un anno fa.

Nell'Eurozona, il tasso sui depositi della BCE è salito al 3,25%, mentre il tasso di rifinanziamento delle banche è al 3,75%. Entrambe le banche centrali si dimostrano disposte a combattere e hanno ventilato la prospettiva di ulteriori rialzi dei tassi di interesse se l'inflazione si confermerà ostinata.

Non è però certo che questo basti a spezzare l'inflazione. Considerata la carenza strutturale di manodopera, servirebbe un colpo violento sui tassi d'interesse, nello stile dell'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker, per mettere in ginocchio l'economia e il mercato del lavoro e arrestare la corsa dei costi salariali.

 

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