23.12.2020 -
I tassi di interesse sono ormai bassi da un pezzo e le cedole di molte obbligazioni non generano più “reddito”. Sarebbe quindi meglio eliminare le obbligazioni dai portafogli? Assolutamente no!
Quante volte abbiamo sentito la fatidica frase: “Prima le cose andavano meglio!” Tipica lamentela da bar, riferita a qualunque cosa: il calcio, la politica... L’ho sentita anch’io di recente, non al bar ma in cortile, dal mio vicino che qualche giorno prima aveva parlato con il suo consulente bancario. “Prima le cose andavano meglio. C’erano ancora tassi d’interesse al quattro-cinque percento.” Ma è passato molto tempo da allora. In molti mi chiedono se il mio lavoro di gestore di fondi obbligazionari non sia diventato deprimente, visto che oggi non si possa più guadagnare niente con le obbligazioni. Anzi, solo perdere. Una specie di “Mission: Impossible”. Io rispondo che in realtà è il contrario: il mio lavoro non è mai stato così interessante, perché è più stimolante che mai. Con le obbligazioni si possono ancora ottenere rendimenti discreti, basta cercarli con più attenzione. “Mission: Possible”.
Oggigiorno chi investe in obbligazioni deve dire addio alle vecchie abitudini. Comprare un’obbligazione, detenerla fino alla scadenza e incassare la cedola una volta l’anno è una strategia che non funziona più, perché nella stragrande maggioranza dei casi il rendimento cedolare è troppo magro se non perfino inesistente. Il classico approccio “buy and hold”, ovvero “acquista e mantieni”, non esiste più. E fin qui le notizie negative. Ma veniamo ora a quelle buone: le obbligazioni hanno anche altre componenti di reddito oltre alla cedola. Ad esempio, ci sono i potenziali rialzi dei prezzi. I buoni imprenditori fanno in modo di comprare a valutazioni convenienti per poi vendere quando i prezzi si alzano. Ci sono sempre delle fasi di mercato e situazioni in cui singoli titoli vengono puniti in modo eccessivo. Sono proprio queste le opportunità che noi investitori dobbiamo riconoscere e sfruttare. Quindi per un gestore di fondi è molto importante, soprattutto oggi, avere un’adeguata riserva di liquidità che gli permetta di essere abbastanza flessibile da cogliere le opportunità che si presentano. Perché una cosa la storia ce l’ha insegnata: le occasioni prima o poi arrivano. Se non oggi o domani, magari dopodomani. Per noi marzo e aprile sono stati due mesi ottimi, poiché molte obbligazioni di emittenti di prim’ordine hanno subito ribassi eccessivi in borsa.
Molti obiettano che se in futuro, alle obbligazioni restano solo i rialzi dei corsi, tanto vale investire piuttosto in azioni dello stesso emittente – che offrono almeno rendimenti da dividendi molto più consistenti rispetto alle cedole obbligazionarie. Personalmente non sono d’accordo, e non solo per partito preso. Il vantaggio di un’obbligazione rispetto a un’azione è che i rendimenti si possono pianificare strada facendo. Faccio un esempio: se acquisto un’obbligazione della società X a 80 perché il prezzo è crollato da poco, magari perché ha pubblicato dati trimestrali molto deludenti, so per certo che alla scadenza ne incasso comunque 100; ovviamente a condizione che il debitore non diventi insolvente.
Con le azioni non abbiamo le stesse certezze: se il contesto generale peggiora, la società XY e di conseguenza le sue quotazioni azionarie possono risentirne a lungo. E magari non tornare mai più al nostro prezzo di acquisto. Quando si investe in azioni bisogna quindi avere un’idea molto più precisa delle prospettive aziendali per gli anni a venire, del potenziale di crescita della società e degli utili che sarà in grado di generare. Se invece compriamo un’obbligazione dovremo più che altro capire se l’emittente – Stato o azienda che sia – sarà in grado di ripagare con certezza il debito alla scadenza. Questa differenza depone chiaramente a favore delle obbligazioni.
Ma non voglio insistere solo sul potenziale di rialzo dei prezzi: le obbligazioni offrono anche altre fonti di rendimento aggiuntivo. Ad esempio, è importante la gestione della duration : anche lì infatti risiede un certo potenziale di rendimento. O ancora sul piano valutario. In sostanza gli investitori obbligazionari devono agire in modo molto più strategico, essere molto più attivi e quindi fare operazioni molto più di frequente se vogliono conseguire rendimenti discreti nel lungo periodo. Oggi, infatti, il tasso di rotazione di un portafoglio obbligazionario puro supera di molto quello di un portafoglio azionario. Il problema è: un investitore privato come può fare tutto ciò, avendo poco tempo da dedicare agli investimenti e non essendo in diretto contatto con i grandi operatori di borsa? Questa sì che sarebbe una missione impossibile.
Un buon fondo obbligazionario a gestione attiva potrebbe invece essere uno strumento ideale per investire con successo in obbligazioni con un orizzonte di lungo termine. Capisco che detto da me possa sembrare una raccomandazione “di parte”, ma il mio è un consiglio a ragion veduta. Anche perché molti mi chiedono se non sia meglio investire in un fondo obbligazionario indicizzato – i cosiddetti ETF – anziché in un fondo gestito attivamente, visto che gli ETF replicano con precisione il mercato e hanno costi di gestione più contenuti. Sì, si potrebbe anche fare, ma vi do un paio di spunti di riflessione: innanzitutto gli indici obbligazionari non funzionano come quelli azionari. In un certo senso sono, perdonate l’espressione, titoli “spazzatura”. Mi spiego: in un indice azionario, le società migliori avranno un peso maggiore (perché aumentando i corsi azionari aumenta anche la loro capitalizzazione di mercato), mentre in un indice obbligazionario avviene l’esatto contrario, ovvero più le società sono indebitate, più consistente sarà la loro quota nell’indice. Questo spesso è in conflitto con il desiderio di un investitore di avere in portafoglio solo i debitori più meritevoli a livello creditizio.
Inoltre, in termini di performance , gli ETF obbligazionari sono solitamente un passo indietro rispetto agli indici che dichiarano di replicare. A causa delle differenze talvolta evidenti negli spread bid-ask, cioè la differenza tra il prezzo bid (denaro) e il prezzo ask (lettera), capita che in occasione degli adeguamenti periodici dell’indice parte del rendimento degli ETF vada perduto. Un buon gestore attivo, invece, valuta se conviene effettivamente apportare un adeguamento del portafoglio al netto dei costi di transazione. Un altro aspetto riguarda la scarsa flessibilità: in genere gli ETF vengono ristrutturati a scadenze fisse, ad esempio a fine mese, o in alcuni casi vengono persino ribilanciati a fine trimestre. Nelle fasi di turbolenza, come la scorsa primavera, può essere uno svantaggio. È importante, infatti, cogliere al volo le opportunità offerte dal mercato, come acquistare obbligazioni di qualità a prezzi convenienti. A volte la “finestra” utile dura un solo giorno, e per gli ETF è un’occasione sprecata. Purtroppo, un investimento non è mai così semplice come vorrebbero far credere gli ETF.
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