02.08.2023 - Julian Marx

Forte o debole?


Forte o debole?

L’inflazione insistentemente alta minaccia la stabilità del valore monetario. Le monete con prezzi stabili in genere garantiscono anche un valore esterno stabile. Una panoramica del mondo delle valute.

Per sapere in che modo l’inflazione elevata incide sulla stabilità del valore monetario, bisogna dare un’occhiata al sud ovest: la popolazione turca avrebbe molto da dire su che cosa significhi avere una valuta priva di stabilità dei prezzi.

Solo dal 2020, in Turchia il livello dei prezzi è triplicato. A giugno l’inflazione era al 38,2%, cioè molto al di sopra del livello dell’anno precedente. In una situazione del genere, la fiducia nella propria moneta si perde molto velocemente e Il denaro viene speso oppure scambiato il più in fretta possibile, finché possiede ancora un po’ di valore.

Questa perdita di fiducia si riflette anche nel valore esterno della lira turca. Se a gennaio 2020 si potevano ancora scambiare 100 lire turche per 15 euro, ultimamente erano scesi a soli 3,50 euro. Ma che cosa serve per avere una moneta “forte”?

Stabilità del valore del marco

Al contrario, finora il marco tedesco è considerato da molti come un esempio di stabilità monetaria, sia in Germania che all’estero. Anche Margaret Thatcher, la prima Prima Ministra britannica, ha espresso un giudizio positivo sul marco tedesco nel 1993. In un’intervista al settimanale “Der Spiegel”, ha dichiarato: “Se fossi tedesca, io preserverei a tutti i costi la Bundesbank e il marco tedesco.” Una citazione che, oltre a dimostrare la fiducia che la Thatcher riponeva nella valuta tedesca, contribuiva anche a crearla.

La forza del marco è sempre stata associata alla cultura della stabilità dei prezzi della Deutsche Bundesbank. L’obiettivo della politica monetaria della banca centrale tedesca consisteva nel corretto adempimento del mandato di stabilità dei prezzi. Ogni volta che i tassi d’inflazione sono saliti in modo preoccupante, la Bundesbank ha risposto in modo rapido e deciso: gli interessi sono stati portati a un tasso di riferimento generalmente superiore ai tassi di inflazione .

Naturalmente la Banca centrale europea (BCE) ha cercato di seguire questa eredità politica, ma ha dovuto cambiare rotta a causa della crisi dell’euro. Da allora abbiamo sperimentato a lungo l’orientamento chiaramente espansivo dei custodi dell’euro. A oggi, i tassi di interesse reali negativi garantiscono la capacità degli Stati dell’Unione europea fortemente indebitati di agire e sostenere il debito (cfr. grafico 1).

L’euro, dunque, da molto tempo non è più una moneta forte nel modo in cui lo è il marco tedesco, e probabilmente non lo è mai stata. Tuttavia, anche la Federal Reserve statunitense (Fed), la Bank of England (BoE) britannica e altre banche centrali occidentali hanno cambiato rotta durante la crisi finanziaria. I tassi zero e gli ingenti programmi di acquisto di titoli fanno ormai parte dei loro strumenti standard. Negli anni, l’attenzione della politica monetaria si è spostata verso la stabilità dei mercati finanziari. Ma se le banche centrali agiscono in gran parte in sincronia, che cos’è che caratterizza ancora oggi una valuta forte?

L’esempio della Svizzera

Se si cerca una valuta forte, oggi si approda quasi inevitabilmente al franco svizzero. In questo millennio, quasi tutte le principali valute hanno perso parecchio terreno rispetto al franco: l’euro quasi il 40%, il dollaro USA circa il 44% e lo yen addirittura il 60% (cfr. grafico 2).

I motivi alla base della forza del franco sono diversi. Da un lato, il paese gode di una solidità economica straordinaria con eccedenze delle partite correnti perlopiù generose, il che favorisce la domanda del franco. In questo millennio, l’avanzo delle partite correnti della Svizzera è stato almeno del 5% del prodotto interno lordo (PIL) per 20 anni su 23.

Tuttavia, un saldo positivo delle partite correnti da solo non basta a rendere forte una valuta, come dimostra l’esempio della Norvegia. I dati di conto corrente del paese scandinavo, infatti, sono persino migliori. Dal 2000 registra un’eccedenza media pari al 12% del PIL. Parallelamente, tuttavia, nello stesso lasso di tempo la corona norvegese si è svalutata di circa il 30% rispetto all’euro.

Che cosa si cela dunque dietro alla forza del franco? Probabilmente, soprattutto lo status di “porto sicuro” di cui gode la moneta del paese. Il franco ha iniziato a distinguersi per la sua stabilità politica e monetaria già dagli anni Venti, mentre in molte altre aree monetarie la funzione effettiva di un sistema monetario metallico veniva regolarmente sfruttata per finanziare lo Stato.

Questa fama conquistata nell’arco di decenni dura ancora oggi. Di recente, il desiderio di stabilità (monetaria) degli investitori si è manifestato negli investimenti in valuta estera della Banca nazionale svizzera (BNS). Prima del primo trimestre del 2022, la BNS aveva acquistato valuta estera per un valore equivalente a oltre 900 miliardi di franchi svizzeri, per attenuare le pressioni dovute all’apprezzamento della moneta interna. Da allora, all’estero i tassi di interesse sono cresciuti più che in Svizzera, e la BNS ha potuto nuovamente ridurre le sue riserve in valute di oltre 100 miliardi di franchi.

Se la piazza economica Svizzera riuscirà a mantenere la sua elevata produttività e il franco conserverà il suo status di “porto sicuro”, probabilmente la moneta del paese resterà per molti anni la moneta forte per eccellenza.

Problemi per l’euro, il dollaro e lo yen

Ma cosa ne è stato delle grandi aree monetarie dei paesi industrializzati? Si può ancora parlare di monete forti? Non è facile esprimere un giudizio preciso, dato che l’euro, il dollaro USA e lo yen, ad esempio, hanno tutti una storia a sé.

L’Eurozona, ad esempio, deve convivere con i difetti di costruzione dell’eterogeneità economica degli Stati membri. In qualità di valuta di riserva mondiale, il dollaro USA gode dello status di “porto sicuro”. Tuttavia, in un mondo sempre più polarizzato questo status non potrà durare per sempre. A questo riguardo, il disavanzo cronico delle partite correnti di cui soffrono gli Stati Uniti non dovrebbe assolutamente essere ignorato. Peraltro, negli ultimi 30 anni gli Stati Uniti non sono mai riusciti a registrare un avanzo delle partite correnti, il che, di per sé, dovrebbe essere in contrasto con un apprezzamento strutturale del dollaro USA.

Il Giappone, che dal 2010 ha subito un calo della popolazione di ben tre milioni di persone, invecchia sempre più in fretta. Da allora, la percentuale della popolazione di età superiore a 65 anni è salita dal 23% al 29%. Tuttavia, i problemi non sono solo sul piano demografico. A causa della crescita dei tassi di inflazione a livello mondiale, anche la politica monetaria ultra-espansiva della Bank of Japan (BoJ), che dura ormai da decenni, è destinata a cedere il passo. La banca centrale del Giappone continua a limitare il rendimento dei titoli di Stato giapponesi decennali all’1,0%, nonostante il fatto che l'inflazione in Giappone sia stata costantemente pari o superiore al 3% dall'agosto dello scorso anno. Lo yen giapponese, dunque, non è più considerato un’oasi di benessere.

Monete deboli forti?

In definitiva, non esiste una grande area monetaria che risulti convincente su tutta la linea. Anche la ricerca di alternative si preannuncia difficile. Questo ruolo non lo ha nemmeno il renminbi cinese, anche se la performance economica del paese e la sua attrattiva come mercato di vendita sono indiscutibili. Lì, tuttavia, ogni investimento è legato alla volontà di un regime autocratico. Negli anni passati il principio della certezza del diritto ha fortemente vacillato: sarà quindi sempre più difficile per Pechino riuscire ad affermare il renminbi (in Occidente) come valuta di riserva alternativa al dollaro USA.

A conti fatti, tuttavia, quando parliamo dell’euro, del dollaro USA e dello yen stiamo ancora parlando di tre aree valutarie estremamente potenti. Con solo il 10% della popolazione mondiale, lo scorso anno hanno generato quasi il 44% della produzione economica globale. Allo stesso tempo, le loro valute sono ancora estremamente liquide grazie alle dimensioni dell’economia e ai modelli di utilizzo.

Questo vale soprattutto per l’euro e il dollaro USA. Alla fine del 2021, circa il 60% del debito estero globale era denominato in dollari USA, il 20 percento in euro. Anche guardando alle riserve di valuta estera e ai pagamenti internazionali si rileva un uso prevalente delle due monete. Per quanto riguarda l’euro, dunque, è vero che non può essere considerato una valuta forte nel senso in cui lo è stato il marco tedesco a causa dei suoi difetti di costruzione. Forse, però, visto che non ci sono alternative marcatamente migliori lo possiamo pur sempre considerare una “moneta debole forte”.

 

 

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