16.12.2021 -
A più di 20 mesi dallo scoppio della pandemia, l'andamento dell'economia nell'area euro è inferiore al livello pre-crisi – a differenza degli Stati Uniti. Ecco alcune ragioni e prospettive.
Da ormai quasi due anni la pandemia di coronavirus occupa quotidianamente le prime pagine di giornali e notiziari. Ma a rendere straordinario il periodo che stiamo vivendo non sono solo le questioni sanitarie e sociali.
Anche a livello macroeconomico, infatti, nelle prime fasi della pandemia si è registrato un crollo di portata storica. Nel secondo trimestre del 2020, la produzione economica reale negli Stati Uniti è scesa del 9,4% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Nella zona euro, il prodotto interno lordo reale è calato del 14,5% e nel Regno Unito addirittura del 20,8%. Non solo la portata della flessione registrata in periodo di pace è stata quindi senza precedenti, ma anche le ripercussioni su tutto il mondo.
Ma ora veniamo alle buone notizie: grazie ai vaccini, sempre più paesi hanno potuto revocare le misure restrittive e le economie in tutto il mondo hanno ritrovato la strada della ripresa. La Repubblica Popolare Cinese è stata la prima a tornare ai livelli pre-crisi già nel 2020. Osservando invece più da vicino i paesi sviluppati, si capisce subito perché la Banca Centrale Europea (BCE) preferisce muoversi con più cautela sul fronte della politica monetaria rispetto ai paesi del dollaro, ovvero Australia, Canada e Stati Uniti: negli USA la produzione economica reale per l’anno solare 2021 dovrebbe già superare di circa il 2% quella del 2019, l’anno precedente l'inizio della pandemia. Nell’Eurozona invece è probabile che la produzione economica di quest’anno rimanga a tratti ampiamente inferiore ai livelli pre-crisi (si veda grafico seguente).
Uno dei motivi principali di questo andamento è probabilmente la politica fiscale molto espansiva adottata dagli Stati Uniti. Con un deficit complessivo di 5.900 miliardi di dollari, negli ultimi due anni fiscali il governo americano ha notevolmente contribuito a uno sviluppo dell’economia nazionale di gran lunga più dinamico rispetto alla zona euro, dove meccanismi come la cassa integrazione e altri aiuti d'emergenza hanno compensato solo in parte le perdite di reddito subite. Dal canto loro, i disoccupati negli Stati Uniti sono generalmente riusciti ad aumentare le entrate grazie a generosi sussidi di disoccupazione e assegni aggiuntivi a sostegno del reddito. Solo queste due voci di spesa sono costate al governo americano circa 1.500 miliardi di dollari.
Questa “sovracompensazione” delle famiglie statunitensi si è finora tradotta in una domanda forte e sostenuta di beni di consumo, che si riflette nei nuovi record di vendite al dettaglio registrati negli Stati Uniti. È probabile che questo slancio dell’economia americana prosegua anche il prossimo anno, tanto che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) stima un’ulteriore crescita di un invidiabile 5% per il 2022. Se così fosse, già l’anno prossimo la produzione economica reale degli Stati Uniti supererebbe dell’8% il livello pre-crisi del 2019.
Nel frattempo in Europa si ripongono grandi speranze nella Reconstruction and Resilience Facility dell’UE, un pacchetto di sovvenzioni e prestiti per 723,8 miliardi di euro, che tuttavia dovrebbe iniziare a dare i frutti sperati solo a partire dal prossimo anno. Nonostante ciò, si prevede che le economie dell’Eurozona riusciranno a superare solo di poco i rispettivi livelli pre-crisi (si veda grafico seguente). Considerando inoltre che al momento dell’elaborazione delle stime non si poteva ancora immaginare l’ennesima ondata di Covid con gli ulteriori lockdown, anche queste previsioni potrebbero rivelarsi troppo ottimistiche.
In questo contesto, e malgrado la ripesa finora debole della zona euro e del Regno Unito, i mercati azionari corrono di record in record, pressoché sereni persino a fronte degli ultimi sviluppi dell’emergenza pandemica.
Ci sono buone ragioni per credere che nemmeno una nuova escalation del coronavirus riuscirebbe a farli deragliare. Da un lato, infatti, lo scorso anno è emerso chiaramente come una politica fiscale molto espansiva sia pronta ad ammortizzare i temporanei cali di reddito con generosi sussidi, il che riporterebbe rapidamente la domanda ai livelli attuali con il ritorno alla normalità. Dall’altro lato, il persistente clima di incertezza dovuto alla pandemia potrebbe far desistere le banche centrali dall’aumentare i tassi d’interesse o semmai ad “andarci con i piedi di piombo”. Anche in un tale scenario, quindi, l’appetibilità delle azioni si confermerebbe molto elevata.
Julian Marx è Research Analyst Multi Asset e parte del team Multi Asset presso Flossbach von Storch AG dal 2015.
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