20.05.2022 -
In pochi mesi l’indice Nasdaq Composite è crollato del 30% – una dinamica che ricorda la fine del fervore tecnologico nell’anno 2000. Ecco similitudini e differenze.
All’inizio del 2000 sembrava che le cose per gli investitori girassero nel verso giusto: alimentati dalla speranza che Internet potesse rivoluzionare il mondo, i prezzi delle azioni sulle borse globali erano schizzati alle stelle. In realtà, a questa fase sono seguiti un crollo passato alla storia e una ripresa che ha tardato anni ad arrivare.
Ora la storia si ripeterà? Da fine 2021, i prezzi delle azioni tecnologiche si stanno muovendo al ribasso, soprattutto quelli dei titoli “minori” (ovvero i titoli delle aziende con valutazioni di borsa nell'ordine delle decine di miliardi). Un nostro paniere di 20 società di software as a service e piattaforme ha raggiunto il picco massimo delle valutazioni il 23 ottobre 2021. A metà maggio, i prezzi delle stesse azioni erano scivolati in media del 66%. Agli investitori tedeschi tutto questo potrebbe ricordare il cosiddetto “Nuovo Mercato”, dove all’inizio del millennio, insieme a valutazioni miliardarie, si scambiavano soprattutto le speranze di vendite e profitti futuri, poi andate in fumo con il crollo tecnologico.
Sotto pressione però non sono solo le piccole realtà, ma anche i colossi tecnologici consolidati: di recente, il titolo di Amazon ha scambiato a circa il 40% sotto il livello massimo, mentre i prezzi delle azioni Microsoft e Alphabet sono scesi di circa il 25%.
Tuttavia, basta dare un’occhiata all’andamento delle quotazioni per capire che il confronto con il crollo del 2000 è “distorto”. Dal 1999 al 2001, il prezzo azionario di Amazon è sceso di oltre il 90%, ma per gli investitori a lungo termine come noi l’aspetto rilevante è un altro: oggi Amazon è tutt’altra azienda rispetto al 2000 – è una società redditizia. Nel 2000, quella che all’epoca era solo una libreria ha registrato una perdita di 1,4 miliardi di euro e ha poi impiegato fino al 2003 per tornare in utile, mentre lo scorso anno l’azienda ha guadagnato 33 miliardi di dollari. Amazon Web Services (AWS), il principale fornitore di cloud al mondo, genera oggi gran parte dei profitti del gruppo ed è stato fondato appena nel 2006.
Si può quindi dire che l’attuale calo dei prezzi azionari è esagerato e che le aziende tecnologiche come Amazon sono addirittura valutate “a buon mercato”?
Gli investitori non dovrebbero semplificare così le cose. Il nervosismo sui mercati dei capitali è più che giustificabile: l’inflazione elevata sta provocando un inasprimento della politica monetaria in tutto il mondo. I rendimenti delle obbligazioni aumentano, facendo calare di conseguenza i prezzi. Tutto questo si ripercuote sulle valutazioni azionarie. Inoltre, il disperato tentativo del governo cinese di imporre una politica di “zero Covid” non solo sta pesando sulla crescita economica nazionale, ma sta anche mettendo a repentaglio le catene di fornitura globali. Per non parlare della guerra in Ucraina, che dura ormai da tre mesi. Sulla scia delle crescenti sanzioni economiche dovute al conflitto, l’inflazione non fa che aumentare, trainata soprattutto dal rincaro dell’energia.
Di fronte a questi rischi, è difficile trovare argomenti convincenti per investire o rimanere investiti in azioni. Il fattore di rischio forse più importante per i mercati dei capitali è un rischio tangibile anche per il patrimonio personale: l’inflazione elevata.
Per preservare il potere d’acquisto di un patrimonio servono beni reali liquidi di prim’ordine, soprattutto azioni di società di ottima qualità. Anche se non possiamo prevedere l’andamento dei prezzi a breve termine, c’è un’altra differenza sostanziale rispetto all’inizio del millennio che riguarda le aziende tecnologiche di allora e quelle di oggi: la qualità.
Noi, con qualità intendiamo la capacità fondamentale delle aziende di aumentare gli utili a lungo termine, malgrado le possibili pressioni sulle valutazioni. Oggi quando investiamo in azioni tecnologiche non acquistiamo "aria fritta", nella mera speranza che prima o poi ci faccia guadagnare. Questa idea di investimento distorta era molto diffusa tra gli investitori privati alla fine degli anni ‘90. A quel tempo si sognava il denaro facile.
Naturalmente, eccessi simili ci sono anche oggi: costruttori di auto elettriche con quotazioni miliardarie che in realtà non hanno ancora prodotto mezzo veicolo, società di piattaforme con valutazioni elevate senza una vera piattaforma, società di biotecnologie con nient’altro che il sogno di un prodotto di successo. Negli ultimi mesi, i prezzi di molte di queste azioni hanno riportato gli investitori con i piedi per terra. Quasi un quinto dei 3.000 titoli inclusi nell’indice Nasdaq Composite ha ceduto più dell’80%. Alcune di queste realtà, prive di un modello aziendale sostenibile e di qualità, potrebbero anche non riprendersi più. In questo caso, però, non tutti i mali sono venuti per nuocere: a nostro avviso, la tempesta che si è abbattuta di recente sul mercato contribuirà a ridimensionarlo.
Per quanto riguarda le azioni in generale, invece, non bisogna essere troppo pessimisti. Rispetto a prima dell’inizio del millennio, negli ultimi anni le valutazioni di borsa non sono state spinte agli eccessi da un clima di euforia. Con questa premessa, ci si può quindi concentrare sulla qualità degli investimenti: le aziende con un modello imprenditoriale sostenibile e una buona dirigenza, in grado di adattarsi alle sfide dei nostri tempi, riusciranno a prosperare nel lungo periodo. Queste realtà esistono anche – ma non solo – nel settore tecnologico.
In un’ottica di lungo termine, l’andamento fondamentale degli utili societari si rifletterà anche sui loro prezzi di mercato, ovvero sui prezzi delle loro azioni. Ciò non significa che nel prossimo futuro i mercati azionari avranno vita facile: ci sono ancora troppi fattori di rischio per sedersi sugli allori. In un periodo in cui l’inflazione è a tassi storici, vale più che mai uno dei nostri principi guida: le temporanee oscillazioni delle quotazioni sono il prezzo da pagare per conservare il valore reale del capitale nel lungo termine.
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