16.08.2022 -
La BCE ha una nuova “arma”. Thomas Mayer, Amministratore e Fondatore del Flossbach von Storch Research Institute, spiega di cosa si tratta.
Signor Mayer, come misura di accompagnamento al primo aumento dei tassi d’interesse in undici anni, la Banca Centrale Europea (BCE) ha recentemente introdotto il Transmission Protection Instrument, o TPI in breve. Secondo gli addetti ai lavori, questo strumento dovrebbe fungere da “arma anti-frammentazione” per evitare un ampliamento eccessivo del differenziale dei tassi d’interesse fra i titoli di Stato nella zona euro. Lei cosa ne pensa?
Thomas Mayer: Per certi versi il TPI è molto simile a un dispositivo per la depurazione dei gas di scarico nei motori a combustione, che si attiva, ad esempio, a determinate temperature dell’aria. Con il TPI, le forze di mercato vengono disattivate con un intervento della BCE quando il differenziale dei tassi d’interesse fra i titoli di Stato decennali dei paesi dell'Eurozona altamente indebitati e il corrispondente Bund tedesco supera un limite segreto.
Il programma può funzionare?
Tecnicamente non ne sono così sicuro.
Perché?
Questo strumento mi ricorda un altro meccanismo che ha fallito miseramente: gli accordi europei di cambio del Sistema Monetario Europeo (SME) stipulati nel 1979. Prima dell’introduzione dell’euro, i tassi di cambio dei paesi dell’UE, strutturalmente diversi, erano concatenati.
All’epoca potevano fluttuare l’uno rispetto all’altro solo all’interno di un intervallo ristretto.
Si trattava in generale del 2,25%, tranne per la lira italiana che poteva oscillare del 6% al rialzo o al ribasso. In caso contrario, la singola banca centrale era obbligata a intervenire. Questo meccanismo ha provocato ripetute crisi perché gli speculatori hanno venduto a termine contro marchi tedeschi quelle che consideravano valute sopravvalutate. A quel punto, le banche centrali interessate hanno cercato di difendere le loro divise sotto pressione con aumenti dei tassi d’interesse talvolta estremi.
E non è andata bene?
I tassi d’interesse elevati sono veleno per l’economia e non possono durare a lungo. Il 16 settembre 1992, il “mercoledì nero”, la sterlina britannica è stata la prima a uscire dallo SME in seguito a una speculazione, seguita a un giorno di distanza dalla lira italiana. Dopo altre vicissitudini, il 1° agosto 1993 lo SME è stato di fatto sospeso.
A differenza dello SME, si sa poco delle condizioni del TPI; nello specifico non ci sono limiti chiari di intervento. È un vantaggio?
Una cosa è certa: gli “spread”, cioè le differenze di tasso rispetto ai Bund, non devono ampliarsi troppo. Dal 2018, ad esempio, la BCE sembra voler mantenere il differenziale italiano al di sotto del 3%. Gli speculatori possono quindi aspettarsi che una vendita a termine di obbligazioni italiane contro i Bund non costi più del 3% su base annua.
Ma quando la BCE acquisterà obbligazioni nell’ambito del TPI?
L’attivazione del TPI è condizionata. In realtà può avvenire solo in assenza di squilibri e distorsioni nei mercati.
Ma se il mercato funziona, non c’è bisogno di intervenire.
Esatto. Sarebbe molto strano se il mercato ampliasse lo spread. Gli operatori dovrebbero comportarsi in modo del tutto irrazionale.
Qual è dunque lo scopo dell’intero programma?
Se gli operatori di mercato vendono obbligazioni per motivi validi, la BCE può attivare il TPI se non rispetta le condizioni che ha essa stessa appositamente stabilito. Considerata la “flessibilità” dimostrata nell’interpretazione del suo mandato, è lecito supporre che la BCE non si tirerà indietro quando questa opportunità sarà politicamente fattibile.
A suo tempo, lo SME è stato un fallimento. Pensa che il TPI possa raggiungere il suo obiettivo, ovvero impedire agli spread di rendimento delle obbligazioni in euro di ampliarsi troppo?
Come lo SME, anche il TPI potrebbe scontrarsi con i suoi stessi limiti, in presenza di una fuga massiccia dalle obbligazioni rischiose. Ad esempio, se gli investitori iniziassero a vendere a termine titoli di Stato italiani per motivi di speculazione, ciò potrebbe scatenare il panico fra i rispettivi detentori. Se poi i venditori spostassero i proventi delle vendite in Germania, i saldi del sistema di pagamento interbancario Target2 esploderebbero.
Può spiegarsi meglio? Perché i venditori dovrebbero portare i proventi delle vendite in Germania? Dopo tutto, abbiamo l’euro.
È vero, ma poiché il livello di rendimento dei titoli di Stato decennali non compensa il rischio associato alle obbligazioni italiane, gli investitori utilizzano il programma di acquisto di obbligazioni della BCE per scambiare il rischio di credito italiano con quello tedesco. L’Italia ha già un debito di circa 600 miliardi di euro, mentre la Germania vanta crediti per 1.200 miliardi di euro. Dei circa 2.800 miliardi di debito pubblico italiano, più o meno 740 miliardi sono nei bilanci della Banca d’Italia e della BCE. Se la Banca d’Italia dovesse acquistare titoli per un importo analogo, le passività Target del paese potrebbero salire ben oltre la soglia del trilione e i crediti della Germania supererebbero i duemila miliardi.
In questo modo non si ridistribuiscono semplicemente sugli Stati ragionevolmente più solidi i rischi di quelli che potrebbero trovarsi nei guai a causa dell’eccessivo indebitamento, perché non possono più pagare i tassi d’interesse più elevati?
In linea di principio, per ogni nuovo euro creato nel TPI per un paese membro sovraindebitato, bisognerebbe privare di almeno un euro altri mutuatari. Questo meccanismo non solo peggiorerebbe la qualità del bilancio consolidato del sistema bancario dell’euro, ma ridurrebbe anche la crescita economica, perché il credito per gli investimenti produttivi finirebbe per scarseggiare. Alla fine, il TPI da solo non aiuta nemmeno i paesi della zona euro sovraindebitati.
Perché?
Ad essere determinanti per i costi di finanziamento, non sono tanto gli “spread” rispetto ai tassi d’interesse tedeschi, ma il livello assoluto dei tassi d’interesse. Di conseguenza, la BCE vorrà mantenere bassi tutti i tassi, anche se il risultato sarà un’inflazione fuori controllo.
Quindi il TPI potrebbe costare caro a paesi come la Germania?
In caso di crisi del TPI, la Germania sarebbe costretta a concedere altri prestiti Target senza alcun limite e la zona euro verrebbe inondata di ulteriore denaro. L’euro continuerebbe a deprezzarsi sui mercati valutari e l’inflazione rimarrebbe elevata. A quel punto spetterebbe al governo tedesco azionare il freno d’emergenza. Ma difficilmente Berlino oserebbe farlo.
Grazie per la disponibilità!
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