16.04.2021 -
Le aspettative inflazionistiche stanno aumentando e con loro i tassi d’interesse, almeno temporaneamente. Ecco le possibili implicazioni per una strategia d’investimento a lungo termine.
I rendimenti obbligazionari sono aumentati significativamente nelle ultime settimane, soprattutto negli Stati Uniti. Ma continuerà così?
Molto probabilmente no. È secondo noi probabile che la banca centrale americane Federal Reserve (Fed) stia puntando tutto sugli investitori internazionali. Tutto ciò con la speranza che ritengano le opportunità offerte dalla parte lunga della curva così allettanti da acquistare obbligazioni statunitensi in grande stile, ridimensionando sia i rendimenti che la curva. In caso contrario, potrebbe essere la stessa banca centrale ad acquistare più titoli. Visto quanto accaduto negli anni passati, non ci sarebbe da sorprendersi.
A questo punto una domanda potrebbe sorgere spontanea: che ne sarà dell’inflazione? Cosa accadrebbe se dovesse davvero tornare ad aumentare?
La Fed ha un duplice mandato. Oltre alla stabilità dei prezzi, deve preoccuparsi anche delle sorti del mercato del lavoro. In tal senso e nonostante la ripresa economica, la voragine aperta dalla crisi del coronavirus è ancora enorme. Se anche venisse colmata presto, non sarebbe sufficiente. Come ha già spiegato il presidente della Fed, Jerome Powell, il mandato della Federal Reserve sarebbe tutt’altro che compiuto. Infatti il numero di lavoratori attivi, cioè l’obiettivo occupazionale della banca centrale, supera di gran lunga il livello pre-pandemai. Osservando il mercato del lavoro statunitense, emerge quindi chiaramente come la Fed non abbia alcuna necessità di inasprire in futuro la politica monetaria. Lo stesso vale per le aspettative inflazionistiche. Anche su questo fronte infatti, la Fed conserva ancora un certo margine di discrezionalità visto che ha valutato la stabilità monetaria attraverso il cosiddetto “price-level targeting”, il che significa che il target d’inflazione è considerato raggiunto solo quando la media a lungo termine corrisponde all’obiettivo. Il “credito di inflazione” accumulato negli ultimi anni dovrebbe essere più che sufficiente a giustificare ancora per qualche tempo tassi d’inflazione ben superiori al target del 2 %, senza che la Fed intervenga con un aumento dei tassi d’interesse.
Ma cosa accadrebbe se l’inflazione salisse in modo più marcato, come sostiene il collega del Flossbach von Storch Research Institute, Thomas Mayer? Ultimamente è una domanda che ci viene posta spesso. Del tipo “ci sta piombando tutto addosso”? Per inciso, questo commento si basa proprio su un’intervista a Thomas Mayer. In realtà le nostre opinioni riguardo all’inflazione non sono poi così diverse da come potrebbe sembrare in un primo momento. Il giudizio di Thomas Mayer non riguarda tanto i panieri o l’aumento dei salari in relazione alle tendenze inflazionistiche, ma piuttosto un bene molto più prezioso: la fiducia!
C’è il rischio di una crisi di fiducia nel sistema monetario? Quando le persone perdono la fiducia nel sistema finanziario e monetario, iniziano ad accumulare beni materiali, finendo per spingere al rialzo non solo i prezzi delle attività, ma anche quelli delle stesse merci. D’altra parte, nessuno vuole più i contanti o la moneta scritturale, perché la loro funzione di conservazione del valore è messa in discussione. È un po’ come la “patata bollente”: bisogna liberarsene subito!
Anche secondo noi c’è questo pericolo; l’unica differenza nell’analisi di Thomas Mayer è il fattore tempo. Mentre Thomas teme che la fiducia possa cominciare a scemare presto o addirittura stia già diminuendo – date le politiche di salvataggio sempre più aggressive dei governi e delle banche centrali – noi siamo convinti di non essere ancora a questo punto. Perché molti sono semplicemente inconsapevoli dell’enorme esperimento messo in atto di recente delle banche centrali – e quindi anche delle relative conseguenze. L’argomento è spesso troppo complesso e allo stesso tempo astratto.
A prescindere da chi avrà ragione, la conclusione per gli investitori rimane la stessa. A nostro parere infatti, nello scenario attuale un portafoglio solido dovrebbe comprendere una quota significativa di beni materiali liquidi di ottima qualità, in primis azioni di società d’eccellenza.
Walter Sperb, Capital Markets Strategist, è membro del team di Flossbach von Storch AG dal 2019. In precedenza, ha lavorato per circa 40 anni presso Credit Suisse dove, tra le sue responsabilità, per ultimo ha svolto la funzione di Head of Asset Management Italia.
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