10.01.2020 -
Lo scorso anno è stato uno dei migliori anni borsistici della storia recente. Lo sguardo al passato può incoraggiare gli investitori.
Talvolta vale la pena volgere uno sguardo al passato. Per lo meno se può insegnarci qualcosa per il futuro. Lo scorso anno è stato (forse sorprendentemente per molti operatori di mercato) uno dei migliori anni borsistici dall’inizio delle registrazioni.
L’indice azionario statunitense S&P 500 ha chiuso con un +31,5% inclusi i dividendi , facendo del 2019 uno dei venti migliori anni del mercato azionario statunitense degli ultimi 90 (si veda Grafico). Dall’inizio del millennio, infatti, questo ampio settore ha registrato una crescita ancora più marcata solo nel 2013 (+32,4%). Il migliore in assoluto dall’inizio delle registrazioni è stato il 1954 (+52,3%) – uno degli anni del miracolo borsistico successivo alla Seconda Guerra Mondiale, in cui le azioni statunitensi hanno superato per la prima volta il massimo storico dell’euforia borsistica precedente al grande crollo del 1929.
Molti investitori temono che lo sviluppo positivo dello scorso anno abbia già anticipato troppo i tempi e sia, per così dire, una sorta di “performance in prestito”. Eppure, basta volgere una rapida occhiata al passato per capire che a un buon anno borsistico non deve necessariamente seguirne uno negativo. In circa il 70% dei casi, infatti, il segno è stato positivo anche l’anno successivo In media, l’“anno dopo” ha portato un rendimento di circa il 10%, con una mediana addirittura del 12% – dati perfettamente allineati all’intera storia dello S&P 500, il cui lancio risale al 1928.
Niente affatto! Solo in sei casi lo S&P 500 è sceso in territorio negativo dopo un anno azionario da “Top 20”. Naturalmente, l’andamento storico non è un indicatore della performance futura ed è comunque comprensibile dal punto di vista umano che gli investitori nutrano un certo scetticismo per l’andamento delle borse nel periodo successivo a un anno di grandi risultati. Ma questa diffidenza è infondata.
È pur vero che un’analisi basata sugli anni solari non risulta molto utile agli investitori a lungo termine. Chi è riuscito a sottrarsi alle fluttuazioni, ha anche preso parte ai decenni d’oro del mercato azionario dal 1950. Chi invece ha investito per 20 anni, dal 1930 ha ottenuto con le azioni statunitensi una performance media annua dell’11,8%. In nessun periodo ventennale ci sono state perdite, anzi, nel peggiore di casi, il rendimento è stato del 5,6% l’anno.
Il lungo sguardo al passato ci insegna che considerare periodi di tempo relativamente brevi è di scarsa utilità, che le fluttuazioni temporanee sono difficilmente prevedibili e che l’andamento dei prezzi non sempre riflette il vero valore delle aziende. Meglio concentrarsi sulle tendenze “macro”, come uno scenario prolungato di bassi tassi d’interesse, il progresso tecnologico e una crescita economica moderata a lungo termine. A nostro parere, tutto questo gioca a favore di un investimento azionario a lungo termine.
Per inciso, nonostante il buon anno borsistico 2019, le azioni statunitensi non sono ancora costose dal punto di vista storico. Se si considerano gli utili aziendali e le quotazioni di borsa, la valutazione delle azioni oggi non è superiore a 30 anni fa.
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